2017_01_19 Il FRASCHINI chiude la stagione d’opera con TRAVIATA

Giovedì 19 Gennaio 2017_01_19 ore 20.30
Sabato 21 Gennaio 2017_01_21 ore 20.30 
Teatro FRASCHINI - PAVIA
Giuseppe Verdi
La traviata
su libretto di Francesco Maria Piave. È basata su La signora delle camelie, opera teatrale di Alexandre Dumas (figlio), che lo stesso autore trasse dal suo precedente omonimo romanzo.
Personaggi
Violetta Valéry (soprano) MIHAELA MARCU (19), CLAUDIA PAVONE (21)
Flora Bervoix, sua amica (mezzosoprano) DANIELA INNAMORATI
Annina, serva di Violetta, (soprano) ALESSANDRA CONTALDO
Alfredo Germont (tenore)  ANTONIO GANDIA (19), IVAN AYON RIVAS (21)
Giorgio Germont, suo padre (baritono) MARCELIO ROSIELLO
Gastone, Visconte di Létorières (tenore) GIUSEPPE DISTEFANO
Il barone Douphol (baritono) DAVIDE FERSINI
Il marchese d'Obigny (basso) MATTEO MOLLICA
Il dottor Grenvil (basso) SHI ZONG
Giuseppe, servo di Violetta (tenore) 
Un domestico di Flora (basso) 
Un commissionario (basso) 
Servi e signori amici di Violetta e Flora, Piccadori e mattadori, zingare, servi di Violetta e Flora, maschere
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Direttore Francesco Lanzillotta
Regia Alice Rohrwacher
Scene Federica Parolini
Costumi Vera Pierantoni Giua
Light designer Roberto Tarasco
Movimenti coreografici Valentina Marini
Maestro del coro Diego Maccagnola
Coro OperaLombardia
Coproduzione dei Teatri di OperaLombardia: Teatro Fraschini di Pavia, Teatro Grande di Brescia, Teatro Ponchielli di Cremona, Teatro Sociale di Como –Teatro Donizetti di Bergamo.  

BIGLIETTERIA
C.so Strada Nuova 136 - Pavia
Aperta dal lunedì al sabato dalle ore 11 alle 13 e dalle 17 alle 19
Aperta un’ora prima di ogni spettacolo
Tel. 0382-371214
PREZZI
Da 55 euro (platea e palchi centrali) a 14 euro (posti in piedi non numerati).
Sono riconosciute riduzioni, oltre che di legge, anche per le scuole e gli studenti universitari.
Tutti i prezzi sono pubblicati sul sito www.teatrofraschini.org
ACQUISTO ON LINE   www.teatrofraschini.org

Il capolavoro di Giuseppe Verdi chiude la Stagione d’opera del Teatro Fraschini. Si alza il sipario giovedì 19 gennaio alle 20.30 e in replica sabato 21 gennaio alle ore 20.30. 
Ultimo titolo della trilogia popolare (che comprende Rigoletto e Trovatore), è il melodramma più amato e rappresentato. Il personaggio della protagonista è ispirato a Marguerite Gautier dell’opera di Alexandre Dumas figlio. Se inizialmente fu segnata da un insuccesso alla Fenice, ben presto le perplessità su temi e personaggi poco edificanti sfumarono, la trilogia gode di un posto di prim’ordine nella storia del melodramma. 
Firma la regia Alice Rohrwacher vincitrice del Gran Prix a Cannes 2014 per il film Le meraviglie. 
Francesco Lanzillotta è per la prima volta nei teatri lombardi, diplomato al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, perfezionandosi a New York e Madrid.

L’IMPOSSIBILE ALTROVE.
Un colloquio con Alice Rohrwacher

«Una puttana deve essere sempre puttana. Se nella notte splendesse il sole, non vi sarebbe più notte», scriveva Giuseppe Verdi a proposito della messa in scena di Traviata. La Violetta pensata da Alice Rohrwacher che Violetta sarà?
Abbiamo studiato a fondo la figura di Violetta: a partire da quella di Alphonsine Duplessis, realmente esistita, morta giovanissima, una ‘meteora’ che ispirò la Marguerite Gautier protagonista de La signora delle camelie, romanzo scritto da Alexandre Dumas figlio, che ne realizzò anche un dramma teatrale. Giuseppe Verdi vi assistette durante il suo soggiorno a Parigi e decise che quello sarebbe stato il soggetto dell’opera che avrebbe debuttato alla Fenice di Venezia. Lo decise perché quel giorno sul palco del teatro non vide una storia avventurosa che lo trasportava altrove, ma vide una storia che lo riportava alla sua vera vita, alla relazione con la cantante Giuseppina Strepponi di cui tutti nella provincia mormoravano, alla lotta tra la vita, con i suoi desideri, e il destino, con le sue leggi, naturali e sociali. Traviata, quindi, non è un viaggio verso un altrove, ma un viaggio verso dentro, verso il vicino, l’aderente, il personale. 
Anche noi quindi andando a ritroso in queste storie, abbiamo ricostruito la vita vera di una giovane, Alphonsine, con un’esistenza piena di disavventure, che dalla campagna finisce a Parigi ed il cui talento nello scegliere come presentarsi, come essere, è talmente evidente che in due anni diventa la mantenuta più ricercata di Parigi. Addirittura scrive Dickens nel suo soggiorno a Parigi: «Da diversi giorni i quotidiani hanno lasciato perdere tutte le questioni politiche, artistiche ed economiche. Ogni cosa impallidisce al cospetto di un incidente assai più importante: la morte romantica di una gloria del demi-monde, la bella e famosa Marie Duplessis» (Parigi, 1847).
Dalla vita vera al romanzo, al dramma teatrale, all’opera abbiamo compiuto questa strada a ritroso: abbiamo cercato di mantenere l’immagine di una giovane, che costruisce un suo mondo, e quando cerca di lasciarlo per un vero amore, per Alfredo, non se ne va verso un altrove, ma sradica quello che aveva costruito, prova a tornare indietro. Ma si può? Soprattutto, è in grado Alfredo di sostenerla in questo delicato momento?

Questa immagine di Violetta, come e in che modo ha influito sulla regia?
Prima di tutto, abbiamo lavorato su un paesaggio dell’anima, con riferimenti concreti ma al tempo stesso posizionati in un luogo irreale. Abbiamo creato uno spazio scenico dove non vi è possibilità di andarsene, lo spazio del «popoloso deserto che appellano Parigi», una valle in cui si sta girando un film e Violetta è la protagonista, la star. È lei l’unica che abita un altro tempo, il suo, quello dell’Ottocento, mentre coro e solisti sono i lavoratori del set. Sono in camice (il camice è dei dottori, ma è anche, fino alla seconda metà del Novecento, un attributo di chi lavora in teatro o al cinema). Anche Alfredo è parte di questi lavoratori e Violetta è sola con tutti o sola contro tutti, creatura che tutti celebrano e che tutti usano. Quindi sono partita da uno spazio – il set cinematografico – che conosco bene, ma è una sorta di set astratto, il set dell’anima appunto, dove Violetta ha costruito il proprio mondo.
E l’incontro con Alfredo fa sì che ella rinunci a quel che ha costruito. La mia Violetta non va altrove, ma fa a meno: torna in campagna, alle origini. Ma il suo passato non si può eliminare, incombe su di lei e infatti le ricadrà addosso. Così come quando sradichi una pianta, poi non puoi più rimetterla nel buco che prima occupava, per Violetta non c’è più modo di rimettere le cose come erano prima. Di fatto, abbiamo cercato di raccontare la storia di una bambina, diventata famosa, che cerca di tornare indietro, ma in questo modo sradica quello che aveva costruito e, come un albero, si secca, viene abbandonata.

In che modo ha pensata la figura di Alfredo?
Alfredo è un giovane che viene portato in questo set e a differenza di altri, che sanno adorare Violetta, non ne è capace: è goffo, cresciuto all’ombra del padre, una figura che può ispirare tenerezza con quel suo essere impacciato di fronte a una situazione in cui tutti sanno cosa fare, meno lui. È un ruolo chiave, perché è colui che provocherà lo sradicamento di Violetta. Verdi, in quest’opera, colloca la felicità dei due amanti fuori campo. Non li vediamo mai felici insieme nella vita quotidiana. Le famose «tre lune d’amore» di cui ci parla Alfredo restano negate al nostro sguardo. Si innamorano e subito cominciano i problemi. Da una parte Violetta, dall’altra Alfredo che, una volta abbandonato, entra nel suo incubo, popolato da tutto ciò che egli si immagina che Violetta possa fare mentre lui non c’è. Alfredo non ce la fa ad amare Violetta e, pian piano, si trasforma nell’ancor più odiosa figura del padre, nonostante i suoi tentativi di liberarsi da quest’ombra.

Senza svelare troppo, come si presenta la scena, oltre al set cinematografico da cui tutto parte?
La scena ha vari strati. All’inizio è un luogo e pian piano si spoglia e si trasforma in un altro, fino ad arrivare alla morte di Violetta. Il primo strato è quello che più cerca di imitare la realtà, e poi diventerà un luogo sempre più simile all’anima di Violetta.

Sarà una Violetta col palmare in mano o con le crinoline?
Traviata è un’opera il cui racconto, rispetto ad altre opere, decide di essere semplice, umano e che scandaglia l’animo di un personaggio, più che raccontare un’avventura: ed è questo ciò che lo rende non contemporaneo, ma fuori del tempo. Pertanto, per me non è possibile ambientare Traviata in un’epoca storica altra: mi pare che questa vicenda possa o venire ambientata letteralmente nell’epoca a cui appartiene o è una vicenda che va al di là delle epoche. Anche il set cinematografico è una sorta di astrazione, non a caso i lavoratori indossano camici, copiati dalla realtà: quando gli operatori li indossavano sopra i propri abiti. L’unica che vive a modo suo e nel suo mondo è Violetta, con il suo costume ottocentesco, di cui, pian piano, si libererà.

Nell’opera vi saranno anche video?
Vi saranno nel primo atto alcune proiezioni, che riproducono le scene che si girano sul set: mentre quelle successive saranno più intime e familiari, come se la mamma di Violetta, da piccola, le avesse girato un filmato.

Quale attinenza ha l’immagine scelta per rappresentare Traviata?
L’immagine scelta evoca le mani di una bambina che sta facendo m’ama non m’ama con una margherita. Il gesto che ha reso famosa Violetta e ci ha permesso di dire che lei è sì Violetta ma è anche una bellissima bambina – come la ha definita Lella Costa – che fa i gesti di una bambina. E in un momento dell’opera riusciremo a vedere attraverso di lei anche quella bambina che è stata.

Due chiavi di interpretazione: una che privilegia la storia d’amore, di gelosia, e di abbandono e l’altra che punta il dito sulla società che prevale sull’essere umano; su quale si orienta la sua visione?
Mi sembra difficile, per me, separare i due piani di lettura: tutte le storie d’amore sono anche storie sociali. 

Quale sentimento suscita in lei Violetta?
Mi commuove. Mi commuove questa bellissima bambina che si trova a dovere vivere in una società così crudele, dove lei oscilla tra gioco e violenza. E solo una bambina è capace di tali estremi.

Note musicali

UN AMORE DISTRUTTIVO
di Francesco Lanzillotta

Amore, passione, violenza, orgoglio, ipocrisia, fedeltà, sono solo alcuni aspetti che pervadono La traviata. La condanna senza appello verso una società borghese, falsa e superficiale; pensate alla frase di Giorgio Germont «di sprezzo degno se stesso rende chi pur nell'ira la donna offende». Incredibile che sia proprio lui a dirla, incredibile che lui non si renda conto di aver fatto la stessa cosa con Violetta. Perché l'offesa può essere esplicita, come quella di Alfredo, ma può essere molto più violenta e lacerante se viene perpetrata in maniera subdola, con quella finta eleganza borghese, quel mondo effimero da cui violetta fugge.
L'amore come sentimento portante, l'amore per la donna, per l'uomo, per il figlio, l'amore sotto tanti punti di vista è però la forza che anima e distrugge La traviata. 
Un manifesto gigantesco di musica italiana, raffinatissimo, elegante ma anche rabbioso e trascinante. La traviata è il nostro DNA, ci identifichiamo in questa musica perché siamo nati con lei, fa parte del nostro sangue, per sempre. 

[la note pubblicate sono state ricevute direttamente dal Teatro Fraschini di Pavia]

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