Sabato 6 febbraio 2010, ore 21.00
MUSICA AL TEATRO FRASCHINI DI PAVIA
F. Chopin
Notturno in fa diesis maggiore op.15 n. 2
Sonata in si bemolle minore op.35
Scherzo n. 2 in si bemolle minore op. 31
Sonata in si minore op. 58
Barcarola in fa diesis maggiore op. 60
Note dal programma di sala di Maria Teresa Dellaborra
Lungamente controverse nei giudizi della critica, spesso commentate con frasi lapidarie e negative, le sonate per pianoforte di Frederic Chopin hanno da sempre incontrato il favore degli interpreti e del pubblico. Persino i colleghi contemporanei quali Schumann e Liszt non accompagnarono con parole benevole le pagine sonatistiche, vedendovi una forzatura dell’autentico spirito chopiniano. Analizzate in raffronto alle strutture e allo stile delle sonate beethoveniane, certamente queste appaiono diverse.
In Chopin vi è la drammatizzazione degli elementi e l’esaltazione dell’aspetto lirico; lo stravolgimento dei ruoli nelle strutture della forma sonata dove lo sviluppo non è la palestra per sviscerare tutte le possibilità ritmiche e armoniche dei temi, ma per esaltarne l’espressività delle potenzialità drammatiche o per dedurre idee nuove con percorsi armonici quanto più ampi e la ripresa non è la naturale conclusione di un brano, ma il punto culminante di maggiore tensione creativa. In lui, cioè, «i contenuti tendono a prevalere sulle strutture» (Belotti). Eppure le opere appaiono unitarie nei loro intenti espressivi. Motivo di discussione anche la successione dei movimenti che non ripercorre la tradizione settecentesca, ma segue semmai un susseguirsi di atmosfere emotive. La sonata op. 35 si compone infatti di quattro movimenti alternati lento/veloce e la terza, op. 58 pone in seconda posizione lo Scherzo e in terza il Largo.
La sonata op. 35 nasce attorno alla Marcia funebre, composta nel 1837, dopo la delusione amorosa subita da Maria Wodzinska. Il primo e l’ultimo tempo furono abbozzati tra il 1838 e il 1839 a Valldemosa in un clima di desolazione e di angoscia, mentre lo Scherzo risale alla tarda estate del 1839 quando sorse appunto l’idea di organizzare tutti i tempi in una sonata che si raccogliesse attorno alla Marcia funebre ormai da tempo a molti nota. La pubblicazione avvenne nel maggio del 1840. Già Schumann aveva rilevato, come cosa stupefacente, che tutti i movimenti erano scritti in minore, dunque con un’apparente mancanza di contrasti. In effetti la sonata trova la sua unità espressiva proprio nel fatto di essere stata concepita partendo dalla Marcia funebre e accostando ad essa tre diversi aspetti di un’unica impressione di fondo: l’idea della morte. Da qui la scelta non solo della tonalità minore, ma anche della brevità del finale. L’inserimento della Marcia funebre di per sé non costituiva una novità in quanto già Beethoven l’aveva utilizzata quarant’anni prima nell’op. 26, ma era nuova l’impostazione dei quattro “canti disperati”, denominati da Schumann i «figli più folli» di Chopin.
La sonata op. 58, composta invece in un’unica soluzione, risale al 1844. È dedicata alla contessa de Perthuis, sua allieva. Sebbene molto apprezzata dai musicisti contemporanei, è meno popolare delle due precedenti dalle quali si distacca fortemente. Mentre la sonata op. 35 si caratterizza per la concisione e la lapidarietà del primo movimento, è priva di sottigliezze che richiedono doti particolari di comprensione musicale, l’op. 58, brano della maturità espressiva e tecnica, è ricca di temi, di spunti, di elementi diversi le cui reciproche relazioni sono spesso molto sottili. È un «vasto poema ampiamente articolato», «più costruito che ispirato» (Schumann) nel quale i quattro movimenti hanno carattere differente e contrastante, con gli estremi (Allegro maestoso, Presto non tanto) di andamento forte ed energico. La coerenza interna non è meno ferrea della precedente e la tematica è derivata da poche cellule del primo e del secondo tema del movimento iniziale. Anche l’op. 58 non segue schemi ortodossi di sviluppo e di ripresa, ma punta all’elemento lirico e su di esso concentra l’interesse massimo. Un’atmosfera di grande poesia accompagna l’intero primo movimento che si era presentato in modo maestoso e quasi marziale; lo stesso avverrà nel Largo, mentre lo Scherzo offrirà un cambio di clima mostrandosi gaio e leggero, fondato su un’unica figurazione. Il trio è di nuovo una specie di elegia di carattere cullante e il rondò finale, da molti considerato di ispirazione politica, appare ricco e vario, non privo di imprevisti.