Il Divo Garry al Teatro Cagnoni di Vigevano: passa senza lasciar traccia la sottile critica di Noèl Coward

Venerdì 30, Sabato 31 gennaio Domenica 1 febbraio 2009
Ore 20,45
INVITO A TEATRO
La Contrada - Teatro Stabile Di Trieste
Il Divo Garry
di Noèl Coward
con Gianfranco Jannuzzo (il divo Garry)

e la partecipazione di  Daniela Poggi (la moglie Liz)
e con
Paola Bonesi (efficiente segretaria Monica)
Davide Calabrese (il produttore Morris)
Adriano Giraldi(l'agente Henry)
Alberta Izzo (Daphne)
Maria Serena Ciano (premurosa governante Miss Erickson)
Giovanni Boni (maggiordomo Fred)
Mirko Sodano (aspirante scrittore Roland Maure)

Danila Stalteri (Joanna)
regia Francesco Macedonio

Se qualcuno ha sperato di poter conoscere il commediografo Noèl Coward attraverso il lavoro portato in scena da Jannuzzo ("reduce da due anni di successi") credo che sia stato profondamente deluso da questa esperienza o se crede di averlo fatto sarebbe meglio che si avvicinasse allo humor inglese attraverso qualche bella pellicola in bianco e nero e vedrebbe subito la differenza. Quando poi non potesse ascoltare uno dei lavori musicali scritti da Coward, la cui stessa voce possiamo conoscere attraverso le registrazioni pervenuteci.

Non credo che in nessuna british commedy si alzi mai la voce ne che si gridi venti volte "Questa mattina è un inferno!!".

In tutto il lavoro, che abbiamo visto in scena per tre serate al Teatro Cagnoni, per altro con una ottima affluenza di pubblico, forse l'unico personaggio che ha dimostrato una certa classe è stata la moglie del divo Garry, Liz, ovvero Daniela Poggi. Misurata, spiritosa, sottilmente possessiva, sicura del suo ruolo è stata la cosa migliore che si sia vista in questo allestimento.

Jannuzzo è stato una maschera di cera, fissa dall'inizio alla fine, il suo personaggio non ha avuto una crepa, non un solo cedimento, nessuna maturazione.

Le sue prestazioni ginnico sessuali sono l'unico svago di un annoiato attore che ha "sempre e comunque" successo, in teatro e nella vita, dal cui successo dipende la vita degli altri personaggi che gli sacrificano in fondo senza troppa pena anche le proprie mogli.

Nulla da dire sulla regia di Francesco Macedonio ma con il testo che si ritrovava fra le mani non c'era molto da fare. O si riusciva a creare una specie di "cappello a cilindro" all'inglese o si doveva cambiare testo, magari con un bel classico della comicità senza pensieri come Feydeau.

L'unico possibile spunto interessante era il personaggio dell'aspirante autore, Roland Maure, non per il fatto che potesse essere gay ed innamorato anch'egli di Garry, ma per il dialogo sulla realtà del teatro ormai assolutamente vuoto di contenuti e portato solo allo svago fine a se stesso, una bella critica per il teatro inglese degli anni '40 '50 ma anche per il teatro contemporaneo.
Peccato che questo dialogo passa senza lasciare traccia, forse anche senza che il pubblico si sia accorto che c'è stato.

 

Mario Mainino

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