2019_01_10 Teato LItta il MATTIA PASCAL nella drammaturgia di Alberto Oliva, Mino Manni

Teatro Litta, corso Magenta 24 Milano
Luigi Pirandello 
IL FU MATTIA PASCAL
drammaturgia Alberto Oliva, Mino Manni
regia Alberto Oliva
 con Mino Manni, Marco Balbi, Letizia Bravi, Alessandro Castellucci, Gianna Coletti
scenografia e costumi Maria Paola Di Francesco
assistenti alla regia Cristina Garavaglia, Michela Tosi
in collaborazione con Compagnia I Demoni, Teatro alle Vigne, teatro in-folio Residenza Carte Vive produzione Teatro de Gli Incamminati
Inizio spettacoli ore 20:30 (Domenica 16:30)

Giovedì 10 Gennaio 2019_01_10
Venerdì 11 Gennaio 2019_01_11
Sabato 12 Gennaio 2019_01_12
Domenica 13 Gennaio 2019_01_13
Lunedì riposo
Martedì 15 Gennaio 2019_01_15
Mercoledì 16 Gennaio 2019_01_16
Giovedì 17 Gennaio 2019_01_17
Venerdì 18 Gennaio 2019_01_18
Sabato 19 Gennaio 2019_01_19
VEDI FOTOSERVIZIO CONCERTODAUTUNNO
Domenica 20 Gennaio 2019_01_20

Chi non ha mai sognato di cambiare identità per avere una seconda possibilità che ci consenta di cancellare tutto il passato e cominciare una nuova esistenza? È il sogno di azzerare la memoria e ripartire, più leggeri e liberi dal fardello di quello che è accaduto prima, ma forti di una coscienza di vita, un’esperienza e un vissuto che ci consentano di non commettere più gli stessi errori.
Oggi, nel linguaggio delle nuove tecnologie, si direbbe “resettare il sistema”. Le piattaforme social come Facebook e Instagram oggi ci danno l’illusione di poter vivere una vita parallela, sono invase dai cosiddetti “profili fake”, ovvero identità inesistenti dietro cui si celano persone molto diverse dall’immagine virtuale che vogliono dare di se stesse. Il mondo virtuale sembra essere diventata una valvola di sfogo per tante frustrazioni, una “second life” in cui riscattare i fallimenti della vita vera.
La riflessione sul Doppio e sulla maschera – tipica di Pirandello – arriva in questo testo al tentativo estremo di Mattia Pascal di “suicidare” Adriano Meis, in una girandola esistenziale fatta di esaltazione e perdizione per quello che potremmo definire “l’uomo he visse due volte” per creare un rimando con l’immaginario di Hitchcock, a noi molto affine.

Teatro Litta
da martedì a sabato ore 20:30 – domenica ore 16:30
durata: 90 minuti
Biglietti: intero 25€ – Under26 e convenzioni 16€ – Over65 12€ – Under12 10€
spettacolo in abbonamento: Arcobaleno, 6 al Litta, Uni 4 al Litta, Carta regalo


Mario Mainino ha condiviso un post del 11 gennaio 2019 alle ore 22:47
DOPO L’ENRICO IV I DEMONI FANNO CENTRO ANCHE CON IL SECONDO PIRANDELLO

Al Teatro Litta ho assistito alla versione teatrale de “Il fu Mattia Pascal” e sono rimasta colpita dalla profondità del testo adattato per il teatro e dalla scelta delle idee geniali che sono state supportate da questa capacità di capire l’autore e trasmetterne il messaggio essenziale.
Non era affatto facile drammatizzare un romanzo, uno dei soli sette scritti da un autore principalmente drammaturgo, le cui opere teatrali sono molto più agevolmente fruibili. Per di più un romanzo dalla scrittura non immediata, a volte aulica, con un pensiero filosofico dominante.
Confesso che, limitandomi alla storia, inizialmente mi è venuto in mente Liolà, mentre a teatro i Demoni mi hanno ricordato all’inizio il Cotrone, detto il mago, de “I giganti della montagna”, Un Marco Balbi in stato di grazia calato in luccicanti abiti circensi che ripete il tormentone “vermucci”.
Poi appare il teatro delle ombre, suggestive e dense di significato. Perfette per questo testo. Le ombre sono citate spessissimo nel romanzo, c’è anche un capitolo, il XV, intitolato “io e l’ombra mia”, per questo sono state preferite, per esempio, alle marionette, seppur citate anch’esse in un passo importantissimo di cui parleremo più avanti. Inoltre le marionette per evidenziare il tema del doppio si sono già viste troppe volte, perfino nelle regie liriche (mi viene in mente “La gazza ladra”), come anche gli specchi, usati invece nel recente “Evgenij Onegin” di Puskin che il regista Latenas ha portato al Piccolo Teatro.
Da una conversazione avuta con Mino Manni, giustissimo nel ruolo come non mai, con il suo mutare di recitazione a seconda delle fasi di “vita” o di “non-vita” di Mattia Pascal, ho appreso che per i Demoni il doppio è un’ossessione costante e che le ombre affascinano da sempre. Non per niente Mattia Pascal dice “Sono la testa di un’ombra e non l’ombra di una testa” ed anche se è vivo si sente morto.
Il teatro di ombre è dunque il luogo dove si svolge la prima parte della vita, velocissima, con tutte le schermaglie, le finzioni, le convenzioni. Quando il velo si squarcerà i burattini diventeranno di carne ed ossa e la vita di Mattia Pascal prenderà forma, la vita vera, ma sarà più finta di quella vera.
Quando poi sarà invitato dal padrone di casa Anselmo Paleari ad un teatrino di marionette, lo stesso Paleari gli farà notare che se si squarciasse il fondale che rappresenta il cielo, la tragedia dell’Orestea non potrebbe più avere luogo perché Oreste non potrebbe più uccidere per vendicarsi e diventerebbe Amleto. Questa impossibilità della tragedia riguarda anche Mattia Pascal che, pur motivatissimo nella vendetta, si blocca. A causa di questo squarcio lui non c’è più e niente ha più senso, quasi un anticipo del teatro dell’assurdo.
«Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta»
Molto bella è anche l’idea di avere un doppio in carne ed ossa, il bravo Alessandro Castellucci, che diversamente dal testo dice a Mattia Pascal di chiamarsi Adriano Meis, il nome che il protagonista assumerà dopo la falsa notizia della sua morte. Nel romanzo invece prende il cognome da uno dei suoi compagni di viaggio in treno, e il nome dall’imperatore romano citato da un altro viaggiatore.
E’ impressionante come i poderosi tagli di questa difficile opera abbiano funzionato così bene. Ne è risultata un’ottima riduzione che non ha niente a che vedere con il semplice riassuntino, perché ne ha conservato intatta la magia e soprattutto l’impostazione filosofica, tanto è vero che la famosa “lanterninosofia” è rappresentata non solo a parole ma anche con immagini colorate e, naturalmente, luminose.
Secondo questa teoria, a differenza del mondo vegetale, privo di sensibilità, l'essere umano ha la sfortuna di avere coscienza della propria vita, cioè di "sentirsi vivere", con la conseguenza di subordinare la realtà esterna oggettiva a questo sentimento interno della vita, la cui caratteristica è l'ingannevole mutevolezza.
"E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che proietta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo credere vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?" [cap. XIII]
In pratica questi lanternini rappresentano l'idea interiore del mondo esterno, che viene assunta come unico metro di valutazione. I lanternini più grandi e colorati (ciascuno secondo la propria caratteristica) sono quelli delle ideologie, anch'essi fallaci e propensi a cadere, lasciando così l'individuo senza più capacità di giudizio, nel buio più totale, che però non esisterebbe se non fosse risultato quale contrapposizione al flebile bagliore delle lanterne.
Meritevoli di citazione sono gli attori, di una credibilità assoluta, da Mino Mino Francesco Manni, che ha trovato il modo di comunicarci la sua vita e la sua non-vita, mai uguale a se stesso, come invece purtroppo spesso accade negli attori anche famosi, ad Alessandro Castellucci, personaggio misterioso che svolge due ruoli passando da uno all’altro con molta disinvoltura, a Marco Balbi, con la sua sottile vena ironica perfetta per i due ruoli interpretati, a Gianna Coletti, brava simpatica, e giusta nel ruolo di Silvia Caporale (leggendo il libro si immagina proprio così il suo personaggio), a Letizia Bravi, un’Adriana convincente, giovane bella, dolce.
Alberto Oliva, regista giovane e classico nel contempo, merita un plauso, a suo agio anche con mezzi difficili da utilizzare. Se non sapessi di dargli un dispiacere direi che Pirandello gli si cuce addosso come e forse più di Dostoevskij. La sua regia è magica ancorchè snella ed asciutta.
I costumi “magrittiani” di Maria Paola Di Francesco sono spiritosi ed adattissimi.
Per concludere lo spettacolo è riuscito a trasmettere per intero il messaggio pirandelliano, grazie all’adattamento, come mi sono dilungata sopra, alla regia, alla recitazione di grandi attori, e tutto questo si può riassumere in una sola parola: la conoscenza.
Recensione di Diana Ceni, attrice, autrice e regista

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