2015_01_16 Teatro Fraschini di Pavia chiude con Butterfly la stagione lirica

Venerdì 16 gennaio 2015_01_16 alle 20.30
Domenica 18 gennaio 2015_01_18 alle ore 15.30
Teatro Fraschini - Pavia
Giacomo Puccini
MADAMA BUTTERFLY
Personaggi ed interpeti
Madama Butterfly (Cio Cio San) Cellia Costea
Suzuki  Giovanna Lanza
Kate Pinkerton Annalisa Sprovieri
F.B. Pinkerton Giuseppe Varano
Sharpless Domenico Balzani
Goro Saverio Pugliese
Lo Zio Bonzo Manrico Signorini
Yakusidé Carlo Checchi
Il Principe Yamadori/ Il Commissario Imperiale  Antonio Barbagallo
L'Ufficiale del Registro Mattia Rossi
La madre di Butterfly Maria De Micheli
La cugina di Butterfly  Loretta Carrieri
Dolore  Matilde Ferrari
Regia di Giulio Ciabatti
Scene e Costumi Pier Paolo Bisleri
Luci Claudio Schmid
Video Antonio Giacomin
Maestro del coro Antonio Greco
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Direttore Giampaolo Bisanti
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Allestimento della Fondazione Teatro Lirico“Giuseppe Verdi” di Trieste
Coproduzione Teatri del Circuito Lirico Lombardo
Con Fondazione I Teatri di Reggio Emilia

BIGLIETTERIA
C.so Strada Nuova 136 - Pavia
Aperta dal lunedì al sabato dalle ore 11 alle 13 e dalle 17 alle 19
Aperta un’ora prima di ogni spettacolo
Tel. 0382-371214

PREZZI
Da 55 euro (platea e palchi centrali) a 14 euro (posti in piedi non numerati).
Sono riconosciute riduzioni, oltre che di legge, anche per le scuole e gli studenti universitari.
ACQUISTO ON LINE www.teatrofraschini.org

TEATRO FRASCHINI SI CHIUDE LA STAGIONE D’OPERA CON GIACOMO PUCCINI

La Stagione d’opera del Teatro Fraschini si chiude con Madama Butterfly, venerdì 16 gennaio alle 20.30, in replica domenica 18 alle ore 15.30. Sul podio Giampaolo Bisanti che ha compiuto i suoi studi presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Ha vinto numerosi concorsi internazionali, tra i quali il prestigioso “Dimitri Mitropoulos” di Atene.
Firma la  regia Giulio Ciabatti, specializzato negli allestimenti d’opera dopo aver conseguito numerose esperienze di teatro (nel 2009 ha firmato il dittico dei Sette peccati capitali di Weill e Trouble in Tahiti di Bernstein).
Durante una permanenza londinese Giacomo Puccini assistette al dramma in un atto Madam Butterly di David Belasco e ne rimase colpito. Ne colse l’intensità e decise che doveva essere musicato, affidando la scrittura del libretto a Giuseppe Giacosa e Luigi Illica (già autori de La bohème e Tosca). Puccini riuscì a infondere nel dramma atmosfere esotiche, descrisse con perizia musicale le più disparate situazioni, dando vita ad un racconto accurato e suggestivo. 

Note musicali di Giampaolo Bisanti
Dopo la trionfale Tosca, Puccini si preoccupò di mantenere alti i livelli di successo e, soprattutto, di non deludere le aspettative di un pubblico che aveva individuato in lui l’erede naturale di Giuseppe Verdi.
L’opera va in scena il 17 febbraio 1904 al Teatro alla Scala, rivelandosi però uno dei  più clamorosi insuccessi della storia del melodramma italiano, per poi ricevere, dopo alcune modifiche apportate da Puccini un trionfale plauso al Teatro Grande di Brescia il 28 maggio 1904.
Il compositore toscano aveva inserito nell’opera emendamenti molto significativi quasi a voler stilare una vera e propria seconda versione in un vortice creativo spesso assai travagliato nella gestazione.
Gli ultimi anni dell’800 vedevano il diffondersi di una moda culturale denominata “orientalismo” che presupponeva più o meno esplicitamente una sorta di  subalternità delle culture asiatiche a quelle occidentali. Puccini aveva molto studiato le usanze e le tradizioni giapponesi; in primis elaborò con Madama Butterfly una tragedia che ponesse in primo piano la distinzione tra Oriente e Occidente dal punto di vista della netta contrapposizione culturale. 
Ne deriva in termini evidenti un utilizzo dell’organico orchestrale piuttosto variegato, eclettico nella sperimentazione di nuovi strumenti ed impasti sonori, ancorché onomatopeici (dalla citazione dell’inno americano alla rievocazione del cinguettare di uccelli al mattino a mezzo di apposito strumento musicale), al fine di ricreare atmosfere proprie dei luoghi della narrazione.
È evidente che i nuovi linguaggi del ‘900 stanno bussando alla porta dell’era moderna.
La Seconda Scuola Musicale di Vienna nasce e si sviluppa impetuosamente oltralpe con lo scopo di pensare, elaborare, produrre risultati e forme musicali sostanzialmente nuovi obliando l’ormai vecchio sistema tonale che aveva imperato per diversi secoli.
Puccini di riflesso si colloca su questa linea di pensiero; pur conservando le fondamenta di quel linguaggio che tanto radicalmente aveva caratterizzato gli estri compositivi dei suoi predecessori, egli punta il tiro verso il futuro proponendo impasti sonori caldi, preziosi e conturbanti, gesti di teatro clamorosi e toccanti per forza e pregnanza drammaturgica (“Che tua madre”, così come “Tu piccolo Iddio”) – contrasti inattesi in un contesto “intimo” come quello di Butterfly – contrapposti a momenti di pura dolcezza e poesia (“Vogliatemi bene, un bene piccolino”), propri della sensibilità di una bambina di 15 anni la quale, un po’ vittima della sua stessa innocente natura, soccomberà con grande dignità al male che le verrà inesorabilmente fatto.

Note di regia di Giulio Ciabatti
Non solo una geisha, un marinaio, un figlio. Non solo un luogo, una baia, una casa a soffietto. Non solo l’epoca dell’ambientazione, l’epoca della composizione, l’epoca della rappresentazione. L’opera, come i testi antichi, è stata scritta per esser ascoltata, divulgata, commentata, interpretata e, come le stelle nel cielo, illumina le nostre vite, alternando segni chiari e oscure bellezze. Bisogna spostare lo sguardo, dal libro stampato al cielo lontano. Comincio ad aggirarmi in una Nagasaki immaginaria, nei viottoli fangosi fra pozzanghere di pioggia e bianche lanterne, sguardi di bambine, sorrisi ammiccanti, finte complicità, finché non incontro quella creatura da cartolina. I neri capelli sciolti sulla spalla, un vestito di seta ricamata, il volto antico di una musa, poesia silenziosa, nella quale cerco di perdermi e annullarmi. Chiudo gli occhi. Il teatro senza poesia è solo una povera messa in scena. Rivedo la donna, tiene lucciole nella mano. 
Sono tante farfalle fosforescenti, piccole butterfly in volo, petali che si staccano da un ramo fiorito. Un corteo di nozze si snoda, si avvicina al sommo del pendio. “Ecco son giunte”. Compare la figura graziosa di una musmè: “Amore mio!” Una supplica per dimenticare la propria gente, un bisogno di oblio dentro una solitudine che non conosce confini. Amare per dimenticare. Amare per ricominciare, per credere, illudersi, sperare un altro destino. Per sanare il lutto, la ferita inferta dalla perdita del padre. “Cose del mondo”. Poi la katana del padre avvolta nella stoffa viene riposta, il cielo s’illumina di stelle e i corpi palpitano, vibrano, si richiudono silenziosi nella notte. Mi basta conservare pochi elementi da trasformare ancora nel terzo atto. La soglia della porta della nuova casa diverrà la soglia della porta sacra, il Torii, che si staglierà nel cielo pieno di stelle lontane. La katana riemergerà da una coltre di neve che copre il giardino per recidere ogni illusione. Respiro in Butterfly il profumo di un’antica tragedia. A volte è una singola parola, una sola frase a calamitare tutte le mie attenzioni, a costituire l’elemento dominante da cui si dipanano le indicazioni fondamentali. 
Apro le pagine dello spartito del secondo atto. Vedo Butterfly di spalle, “… lungi piangendo nella deserta immensità”. Attende. Attende che qualcuno torni e ancora cambi la sua vita. Butterfly china davanti ai pochi oggetti lasciati da Pinkerton, un baule, una foto, un cannocchiale di marina, una bibbia. Avvolta nel dolore, sordo, vilipeso, ostinato, come il suo segreto. La luce sulla scena disegna un cielo saturo di umidità, giallo grigio, poi azzurro verdognolo, poi violaceo. Lo spazio scenico diventa lo sfondo emozionale, la proiezione del dramma intimo. 
Penso ai macchiaioli, ritrovo una stampa di Torre del Lago, la consegno allo scenografo perché la trasformi in una stampa giapponese e febbrile veglio insonne. Veglio su quella che sto trasformando nella mia visione di Butterfly. Come il waki, che nel teatro No descrive il viaggio dello shite, il personaggio principale del dramma. “ Al punto che talora lo shite viene definito come una visione del waki “. Non mi pongo il problema di essere un regista di tradizione o d’innovazione, di assecondare le convenzioni o di trasgredire, di rispettare le didascalie o di gettarle al vento. In Butterfly voglio rendere scenicamente la struggente fragilità di tutto ciò che è bello in una trascrizione personale sospesa tra realtà e sogno, permeata di poesia. Attraversando l’opera passo silenzioso, cercando di cogliere il più piccolo respiro, pronto a ritirarmi al momento opportuno. Per questo non mi preoccupo durante il coro muto e l’intermezzo tra secondo e terzo atto d’inserire la figura di un viandante, un monaco, un pellegrino che attraversa la scena. Forse l’anima antica del Giappone, l’ombra sacra del padre, il destino di Butterfly, il waki o forse ancora una proiezione di me stesso, lascio ad altri la chiave dell’enigma la cui soluzione può rimaner chiusa o sbocciare come un fiore in ogni singolo spettatore. Credo che un regista debba saper accompagnare e sostenere una visione, renderla chiara e nello stesso tempo custodire qualcosa di ambiguo e misterioso. Il viandante è un po’ come il motociclista che attraversa l’Amarcord di Fellini o il samurai con la lancia in Zatoishi di Kitano. Perché nulla è soltanto ciò che è, e nulla è soltanto ciò che sembra. 
I cantanti lasciano il teatro, vanno via anche i tecnici. Rimango solo sulla scena del finale. Rileggo alcuni passi di un libro di Mishima “La luna sull’acqua“. Poi vado in direzione del Torii. Mi genufletto, prendo fra le mani la katana. Mi giro di scatto e fendo l’aria rendendo ampio e lento il gesto della spada che rapidamente punto alla gola. Oche selvatiche si alzano in volo sulla superficie del lago. Mi accascio sul tatami. Mi rialzo e percorro di corsa il palcoscenico: ora sono il bimbo, sono Butterfly bambina che vede il padre, sono la sua anima che trasmigra lontano. E allora mi trasformo ancora nel viandante e scivolo sotto il ramo fiorito e m’inginocchio in preghiera. C’è un dio nascosto in ogni piccola cosa, in ogni gesto, in ogni pensiero, in ogni destino. 
Nagasaki dorme. Ha la bellezza antica di una donna dai neri capelli sciolti sulla spalla e un vestito di seta ricamata. La sua poesia era ciò che cercavo, ma solo il teatro mi ha concesso lo spazio per esprimerla e rafforzare il mio legame con il sacro mistero della vita e della sua rappresentazione.


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