2014_03_21 Il dramma di Giordano in scena al Teatro San Giovanni Bosco di Bergamo

CIRCOLO MUSICALE MAYR-DONIZETTI39ª STAGIONE OPERISTICA
Venerdì 21 febbraio 2014  •  ore 21:00Teatro San Giovanni BoscoBergamo – via San Sisto, 9 (quartiere Colognola)
Andrea Chénier
Dramma di ambiente storico scritto in quattro quadri. Musica di Umberto Giordano
Personaggi ed interpreti 
Andrea Chénier DIEGO CAVAZZIN 
Carlo Gérard EUN YONG PARK 
Maddalena di Coigny GABRIËLLE MOUHLEN 
Bersi ENRICA FABBRI 
La contessa di Coigny ANGELA ALESSANDRA NOTARNICOLA 
Madelon ANGELA ALESSANDRA NOTARNICOLA 
Roucher GABRIELE SAGONA 
Pietro Fléville GIOVANNI GUERINI 
Fouquier Tinville LUCAS BRITTER 
Mathieu GIOVANNI GUERINI 
Un «Incredibile» LIVIO SCARPELLINI 
L'abate EMILIO ALDI 
Schmidt ANGELO LODETTI 
Il maestro di casa LUCAS BRITTER 
Dumas ALESSANDRO RAVASIO 
Coro lirico di Bergamo 
maestro del coro FABIO TARTARI 
Pavlova Intenational Ballet Company 
concertatore al pianoforte DAMIANO MARIA CARISSONI


Dopo la felice incursione mozartiana di Don Giovanni, il Circolo Musicale Mayr-Donizetti volta decisamente pagina presentando un nuovo allestimento di Andrea Chénier, capolavoro verista di Umberto Giordano, apparso per la prima volta alla Scala nel 1896 (è possibile scaricare liberamente il libretto alla pagina http://www.coroliricoteatroverdi.it/media/andrea_chenier.pdf)
Sorretto dalla splendida musica e dal lirismo di Giordano, il seducente libretto di Luigi Illica ci immerge in un intenso romanzo in quattro quadri ispirato alla vita eroica del poeta francese André Chénier (1762-1794).
L’opera porta in scena a forti tinte le stesse pulsioni che in varie forme hanno esaltato tutte le epoche della nostra storia: gli ideali, l’amore, l’amicizia, il tradimento, lo scarto tra generazioni e classi sociali, la spinta irresistibile del popolo verso forme nuove di futuro, il sacrificio estremo.
Un dì all'azzurro spazio, guardai profondo… improvvisa Chénier durante la festa, tratteggiando in pochi versi tutta la pulizia e la vastità del suo sogno di avvenire.

Note di regia
Andrea Chénier è un’epopea dell’Amore e, alla luce corrusca di una violenta ed attendibile descrizione della Rivoluzione Francese, la ghigliottina –attestata come simbolo di libertà e di giustizia–, diviene strumento di repressione politica, di negazione di libertà e di sfinimento spirituale, ma anche spinta verso un arricchimento emotivo. Ed è proprio in virtù di questo travaglio che nascono i più puri sentimenti. Da un clima di “sangue e fango” nonché dall’Amore, ottengono linfa il patriottismo poetico e ideale del protagonista, la sete di giustizia di Gérard e il nobilissimo tentativo di emancipazione femminile di Maddalena. Anche il libretto di Illica giustappone con abilità un primo atto tutto Ancien Régime ed una successiva narrazione “alla Rivoluzione”, creando un’idea di “prima” e di “dopo” rispetto al momento simbolo della Presa della Bastiglia. Bisogna, poi, ricordare che, all’epoca della prima assoluta dell’opera, il genere settecentesco stava vivendo una grande fortuna teatrale con un profluvio di galanterie rococò, di egloghe arcadiche, di vezzose pastorelle sedotte e di audaci pastori. Nell’immaginario collettivo tardo ottocentesco, il secolo delle grandi favorite di Luigi XV e del successivo déluge [diluvio], significava lascività corrotta ed insinuante in contrasto ai nascenti Neoclassicismo e Romanticismo. Doveva inoltre percepirsi il cupo pessimismo di fondo legato alla nuova condizione dell’uomo di fine secolo, ormai consapevole della fallibilità dei nuovi valori borghesi. Questo quadro storico fu poi esasperato dalle tendenze letterarie e teatrali veriste e finì per sconfinare verso un erotismo scoperto e distruttivo. Da un Settecento incipriato ed imparruccato oggi, però, emergerebbe una scarsa presa emotiva e poco ci rivelerebbe l’affresco di una nobiltà malata, alternata a gruppi di Giacobini in capelli frigi e cuffie bianche che ballano la Carmagnola sulle tombe dei Giorondini.
Ecco quindi, la mia decisione di spostare la vicenda in un diverso contesto rivoluzionario che fosse oggi perfettamente tangibile: il grande sommovimento culturale e sociale che è stato il 1968 parigino. Periodo discusso, amato o denigrato, che vive, come tutte le rivoluzioni, di contrasti, incoerenze, gesti nobili e bassezze. La festa del primo atto diverrà una ricevimento alto-borghese in cui lo snobismo arrogante della Contessa e la vuotezza capricciosa di Maddalena faranno da trampolino verso il clima che emergerà negli atti successivi, fatto di sete di equità sociale, di riscatto sessuale e morale, di assemblee popolari, di Comuni e di processi sommari.
Anche in questo caso gli ideali filosofici, all’atto della loro applicazione pratica, si muteranno in un mostro orribile e pericoloso e i protagonisti, proprio come molte figure del ‘68, pagheranno con lo squallore di una sopravvivenza delusa –o persino con la vita– il prezzo della temperie rivoluzionaria e della coerenza alle istanze d’Amore, di Libertà e di Giustizia. 
a cura di VALERIO LOPANE 

Come molti altri capolavori del verismo Andrea Chénier è spesso considerata un’opera per grandi voci. In effetti Chénier, Gérard e Maddalena sono tre autentici protagonisti e il genio di Giordano ha affidato loro melodie immortali ed impegnative come  Son sessant'anni, Un dì all’azzurro spazio, Nemico della patria, La mamma morta, Come un bel dì di maggio. Ma le “voci” non sono i soli elementi determinati per una resa adeguata di questo grande affresco musicale: enorme peso hanno infatti il lato scenico e i ruoli cosiddetti “minori” o “caratteristi”.
Il maestro Damiano Maria Carissoni, concertatore al pianoforte, ha avuto dunque l’arduo compito di muoversi su due vie. Da un lato reclutare tre “voci” protagoniste di grande rilevanza e d’altro lato assicurare una qualità artistica complessiva in grado di rendere appieno lo spessore della vicenda. Ecco il motivo della scelta del tenore Diego Cavazzin, Andrea Chénier, che si ripresenta al pubblico del Mayr-Donizetti dopo tante creazioni felici (basti solo pensare alla sua prova come Rodolfo in Luisa Miller, opera dell’apertura di stagione); la rosa dei tre sarà completata dalle voci giovani ed entusiaste del baritono Eun Yong Park (Carlo Gérard), e del soprano Gabriëlle Mouhlen (Maddalena di Coigny), entrambe emerse con vigore nelle ultime audizioni indette dal Circolo.
Accanto a loro altri artisti esperti che hanno più volte collaborato con il Circolo: Livio Scarpellini («Incredibile»), Angela Alessandra Notarnicola (La contessa di Coigny e Madelon), Gabriele Sagona (Roucher), Giovanni Guerini (Pietro Fléville e Mathieu). Enrica Fabbri debutterà a Bergamo nel dolce e tormentato ruolo di Bersi.
Il Coro lirico di Bergamo, istruito e diretto dal maestro Fabio Tartari darà vita ai vari gruppi del popolo. 
Il Pavlova Intenational Ballet Company sarà impegnato nel ballo “sulle punte” del primo atto e nelle figurazioni degli atti successivi.  
Il costumista Simone Martini ricreerà uno spaccato anni Sessanta / Settanta in linea con la proposta scenica e registica “attualizzata” di Valerio Lopane.

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