2010_03_10 L'arte della fuga

Stagione di Musica del Teatro Fraschini - Pavia
Mercoledì 10 marzo 2010, alle ore 21.00
Johann Sebastian Bach (1685-1750)
Die Kunst der Fugue (L’arte della fuga)
Akademie für Alte Musik Berlin
Nel 2007 l’Akademie für Alte Musik Berlin ha festeggiato i venticinque anni di attività. Fondata nel 1982 a Berlino Est, l’Akademie für Alte Musik Berlin si è rapidamente affermata come una delle orchestre più prestigiose. Ad ogni stagione l’ensemble è ospite dei centri musicali europei più significativi quali Vienna, Parigi, Amsterdam, Zurigo, Londra e Bruxelles. Innumerevoli tournée hanno portato l’orchestra in tutta Europa, in Asia, America del Nord e del Sud, e lo scorso aprile negli Stati Uniti e Canada. Dalla riapertura nel 1984 del Konzerthaus di Berlino, l’orchestra organizza un proprio ciclo di concerti nella sala al Gendarmenmarkt. Dal 1994 l’Akademie für Alte Musik Berlin viene regolarmente invitata alla Staatsoper Unter den Linden di Berlino e alle Innsbrucker Festwochen der Alten Musik.
Un’intensa collaborazione artistica unisce l’ensemble ai direttori René Jacobs, Marcus Creed e Daniel Reuss, ai cori da camera RIAS e Vocalconsort Berlin, ai cantanti Andreas Scholl e Cecilia Bartoli, alla regista e coreografa Sasha Waltz.

Note a cura di Mariateresa Dellaborra

L’imponente pezzo tramandato con il titolo Die Kunst der Fugue (L’arte della fuga) è l’ultimo dei capolavori di Johann Sebastian Bach (1685-1750) che, dopo aver completato l’Offerta musicale, omaggio a Federico II re di Prussia, progettò di far conoscere questo monumento dell’ars subtilior attraverso la stampa per suscitare l’interesse degli «intenditori». Tuttavia prima che questa fosse completata e soprattutto prima che egli stesso potesse terminare il manoscritto, morì. L’Arte della fuga rimase così incompiuta e né l’autografo né l‘edizione originale stampata subito dopo la sua morte, probabilmente per volere del figlio Carl Philip Emanuel, possono dare un’idea completa delle sue intenzioni. Nell’avvertenza iniziale all’edizione del 1751 si apprende che l’autore è morto prima di aver portato a termine l’opera e che «gli amici della sua musa» hanno ritenuto opportuno collocare come pezzo di chiusura l’elaborazione contrappuntistica di un corale che egli stesso, già cieco, aveva estemporaneamente dettato a un amico. In effetti Wenn wir in heochsten Noethen Canto Fermo in Canto, rielaborazione ampliata dell’omonimo corale dell’Orgelbuchlein, si interrompe con la dichiarazione «Su questa fuga, dove il nome BACH viene usato come controsoggetto, l’autore è morto». La successione dei brani, dopo i primi undici ordinati dall’autore, è frutto dunque di un’ipotetica ricostruzione fondata su principi formali e sui modi di intendere il legame tra ogni contrapunctus - tale è la denominazione originaria della maggior parte dei pezzi - e i canoni. Tutti sono basati sulla stessa idea musicale, apparentemente semplice e lineare, e sulla medesima tonalità. Il tema, di costruzione regolare e simmetrica, mantiene invariati i suoi intervalli fondamentali anche se suonato in forma invertita. I singoli contrappunti possono essere letti in modo diverso e le variazioni, cui sono incessantemente sottoposte le forme del tema dato rectus e inversus, palesano le più audaci speculazioni contrappuntistiche. Ad esempio nella fuga speculare a quattro, dopo aver presentato tutte le voci della fuga come rectus nella forma “da manuale”, Bach le scrive interamente come inversus. Per rafforzare ulteriormente l’idea dello specchio, la parte più acuta del rectus diventa la più grave dell’inversus e anche le parti intermedie si scambiano di ruolo, come se l’intera composizione risultasse completamente capovolta. In un altro contrapunctus “a specchio” solo tre voci vengono coinvolte nelle imitazioni e la quarta vi è completamente indipendente. Se da un punto di vista della dottrina tale procedimento si impone come poco ortodosso, da un punto di vista uditivo appare molto attraente. Oltre a giocose sperimentazioni che attengono la sfera melodica, si ascoltano anche sapienti procedimenti di aumentazione e diminuzione relativamente alle durate. Ogni variazione applica dunque le più complesse regole previste dai trattati o le disattende, creando intrica tema affascinanti eccezioni.
Ultimo e non secondario problema connesso a L’arte della fuga concerne la mancata specificazione da parte di Bach degli strumenti musicali cui destinare l’intera opera o le singole parti. In realtà tale “sospensione” non costituisce una lacuna, ma sottolinea semmai come L’arte della fuga sia una opera dal doppio volto, riservata alla lettura tanto da parte di chi, in quanto musicista ne vuole sperimentare sulla tastiera la condotta polifonica, quanto da parte di chi ne vuole studiare sul piano speculativo la complessa trama, senza preoccuparsi dell’effettiva rispondenza sonora. Gli interpreti di tutti i tempi hanno potuto quindi sbizzarrirsi nel trovare gli organici più congeniali alla loro sensibilità: dal semplice clavicembalo al quartetto d’archi e all’orchestra più allargata.
Rivolta innanzitutto ai sapienti membri della Società scientifica Mizler e non a un concerto pubblico, che all’epoca era ancora in fieri, l’opera non incontrò il minimo interesse nonostante una nuova edizione nel 1752. In effetti L’arte della fuga non è l’avvio all’arte della fuga, ma semmai una «codificazione superiore», ai massimi livelli che, stando al progetto originario, avrebbe svelato i segreti del «costruttivismo polifonico solo a chi ne aveva padronanza» e avrebbe nel contempo condotto il musicista a sfiorare le barriere dell’assoluto musicale. È una «cattedrale interrotta» dalla malattia e dalla cecità, ma espressione di un’energia e di una forza spirituale straordinarie.

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