2012_10_26 Il circolo Mayr offre come antipasto alla stagione il delizioso intermezzo de LA SERVA PADRONA

Venerdì 26 ottobre 2012_10_26 ore 21:00
TEATRO SAN GIOVANNI BOSCO
BERGAMO – VIA SAN SISTO, 9 (QUARTIERE DI COLOGNOLA)
Giovan Battista Pergolesi 
LA SERVA PADRONA
Personaggi ed interpreti
Serpina YUKO SAKAGUCHI
Uberto GABRIELE SAGONA
Vespone MAURO GHILARDINI
concertatore al pianoforte
DAMIANO MARIA CARISSONI

Prende finalmente avvio la 38ª stagione operistica "1813 - 2013: Verdi ed il Romanticismo" del Circolo musicale Mayr-Donizetti! Come lo scorso anno e secondo una volontà che desideriamo diventi una nostra apprezzata tradizione, si è scelto di inaugurare la stagione con l'allestimento – ad ingresso libero – di una piccola "perla" del genere buffo, caratterizzata da un ritmo teatrale brillante e pieno d'inventiva, che sappia coniugare l'attenzione del pubblico più competente ed esigente alla piena godibilità da parte di chi al mondo del melodramma si sta avvicinando anche grazie – perché no? – alla nostra proposta culturale.
La scelta si è posata sugli intermezzi La serva padrona di Giovan Battista Pergolesi (è possibile scaricare liberamente il libretto alla pagina www.librettidopera.it/zpdf/servapad.pdf), pietra miliare della storia del melodramma, che trasformò il consueto intermezzo sei-settecentesco da rilassante intrattenimento musicale collocato tra un atto e l'altro di un'opera seria in un vero e proprio genere a sé stante – o quantomeno con una sua precisa e definita dignità artistica – e che portò una ventata di novità rappresentata dalla piacevolezza e dal pieno coinvolgimento teatrale di una musica elegante e raffinata.
Questa nostra serata intende dunque rappresentare la migliore occasione per abbandonarsi con coinvolgente piacere a quella freschezza della musica, immediatezza dell'inventiva melodica e spontaneità dell'azione teatrale che nell'Europa della prima metà del Settecento (prima a Napoli e poi a Parigi) scossero gli schemi convenzionali dell'opera ed impressero un decisivo tornante al gusto di tutta un'epoca, con la loro penetrazione psicologica, il linguaggio musicale e teatrale incalzante, la sveltezza del dialogo e dello svolgimento e l'effetto dirompente di un trattamento ritmico e melodico audace e spericolato.
Info sull'opera
La serva padrona è ambienta a Napoli e del gusto partenopeo mantiene tutta la sensibilità ed il piacere per il cibo connaturato con questa città: non a caso questi deliziosi intermezzi buffi si aprono con l'attesa di un «ciccolatte» (intermezzo I, recitativo di Uberto). Per questi motivi, forse, ogni volta che mi accingo a pensarne e a farne una regia, mi sembra di apprestarmi a preparare un piatto particolarmente gustoso e non uno spettacolo lirico e – senza quasi accorgermi – anche le parole che ho usato fin qui mi sembrano più in sintonia con la cucina che con un palcoscenico.
Come molte opere, di scena o di cucina, però, la preparazione sembra semplice solo all'apparenza e solo quando ti ci metti capisci che, nella realtà dei fatti, è tanto più insidiosa di quanto si pensasse. I motivi dell'equivoco sono evidenti: la sua struttura è lineare, ridotta nel tempo e nel numero dei personaggi e non richiede mezzi di impatto per quanto attiene alla messinscena.
Ripassando per la cucina – per così dire – la portata "Serva padrona" non vanta la dignità di un piatto veramente sostanzioso, ma, quasi per vendetta, a causa di questa semplicità di natura, si dimostra, nella preparazione, molto più a rischio di "titoloni" solo apparentemente più complicati. Non dobbiamo dimenticare che La serva padrona nasce come intermezzo, cioè come "qualche cosa" che fa da contorno ad un piatto più elaborato, ma come nella microvicenda di Serpina (una sapida servetta che diventa padrona) così nella storia della musica questa ghiottoneria, pensata come secondaria, diviene non solo padrona del mastodonte serio di cui faceva parte (il dramma per musica in tre atti Il prigionier superbo con musica dello stesso Pergolesi), ma una vera e propria regina del repertorio italiano buffo settecentesco.
Per questi aspetti, nel mio andirivieni tra i fornelli e la platea, mi ricorda tanto la maionese: salsa che diviene, forse, anche più importante del piatto che accompagna. Nella preparazione di entrambe, infatti, basta un minimo errore per farle subito "impazzire" e così – per avere una buona maionese come per godere di una attraente Serva padrona – non bisogna solo saper scegliere gli ingredienti giusti e freschissimi, ma anche essere in grado di dosarli. Ma questo è nulla rispetto alla difficoltà ed alla imponderabilità improvvisatoria richieste dall'amalgamarli, con mano ferma e decisione: un nonnulla fuori posto e, in tutte e due le occasioni, si ottiene un bibitone dalla preoccupante consistenza semiliquida e da un gusto indefinibilmente orribile oltre che indigesto per qualsiasi stomaco.
I rischi di scivolata sono tanti e opposti. Il primo – più connaturato ai nostri tempi – è di rendere gli intermezzi un gioco sottile di sfiorante ironia, dove sia bandita la risata e si veda con sospetto anche un timido sorriso. Molti registi, con la volontà di dare una superiore dignità a questo gioiello e per allontanarsi dalla criticabile idea del comico, li spingono verso una seriosità meditativa che non è loro propria, come se si ritenesse in qualche modo lesivo e limitante vederli e sentirli solo per ciò che sono: il capolavoro dell'intermezzo settecentesco, ovvero comicità pura in musica. L'essere stati, poi, i protagonisti della celebre disputa – la cosiddetta «Querelle des Bouffons» – scoppiata in Francia a metà Settecento, non fa che complicarne l'interpretazione. Ma se si vuol fare loro giustizia, il desiderio di arricchirli troppo di densità espressiva ha, come conseguenza, quella di cancellare, in un gesto, la loro vivida spassosità e di opacizzare la vivace e volatile semplicità della musica che si appoggia alla freschezza contagiosa del libretto.
Il secondo non meno grave rischio è quello legato alla storia del genere buffo. Si rischia di proporre una versione in cui non solo si accetta l'effettaccio di facile presa sul pubblico, ma si ricerca la risataccia volgare, dando statura di comicità al brontolante e monocorde incedere senile di Uberto e fomentando la scattante e pettegola esagitazione di Serpina, che la rende francamente odiosa.
La strada da percorre è quella di mezzo, quindi. Nella mia regia mi sforzerò – sempre che questa mia "maionese" non impazzisca – di presentare un Settecento spontaneo e, pertanto, fresco: vorrei dare quel senso di realismo quotidiano di una Napoli che vive l'epoca d'oro dell'opera e regalare alle figure che animano la scena un gesto che non ecceda né in una stilizzazione fuori luogo né in una troppo evidente comicità. È mio obiettivo che la natura un po' biliosa di Uberto nella prima parte della vicenda si stemperi in un'agrodolce consapevolezza di vecchiaia ormai alle porte, non macchiettistica ma dignitosa: farò questo rendendo vagamente malinconica la sua grande scena dopo il falso addio dell'amata-odiata cameriera ed il confronto con la indiscreta sincerità-specchio renderà quasi palpabile questa scelta.
Ugualmente per Serpina, prima si tratteggerà – con un occhio alla sua spumeggiante sensualità – la sua natura vitale, polemica e anche un po' petulante e prevaricatoria (e questo tratto sarà innescato da una gestualità rapida e da una dinamica scattante e sicura), mentre il maggiore spessore lirico si mostrerà solo in concomitanza della grande aria A Serpina penserete (intermezzo II): questa sublime pagina renderà evidente la metamorfosi della sua personalità, rendendoci l'immagine di una autentica primadonna che, nel canto come nel gesto, si esprime con la maestosità e lo charme che le sono propri.
Le due figure protagonistiche concluderanno il loro cammino con una perfetta compenetrazione di questi molteplici caratteri nell'ampia sezione finale. In questa amorosa dolcezza e seduzione troveranno l'occasione di amalgamarsi definitivamente e maggiore libertà di azione sarà data, invece, a Vespone, pilastro della creazione di Pergolesi, che con la sua muta ma vitale presenza darà vita a controscene ricche di spirito: dalla lenta e maldestra presenza del suo primo apparire come un servo indolente e fannullone, alla caricata spacconeria del suo alterego Capitan Tempesta.
Anche la scelta della scenografia sarà consona. Un susseguirsi di ambienti, che girano intorno ad un unico asse, alterneranno e caratterizzeranno la vicenda stemperata in varie microscene: si parte da una cupa camera da letto, si passa ad una animata cucina e poi ad una ampia e fastosa anticamera, ad una lavanderia, ad una ricca sala da pranzo ed ancora – come chiusura ciclica di tutta la vicenda – alla stanza della prima scena, resa ora viva grazie alla presenza della giovane sposa. Ho voluto dare questa idea di circolarità scenografica per rendere chiaro come Serpina sia sempre stata padrona, tanto della casa quanto del cuore del suo Uberto. La maggiore ricchezza che apparirà solo nel finale corrisponde alla consapevolezza che entrambi i protagonisti avranno di questa condizione, ora però resa più profonda, più intima, più vera, più dolce: il potere dispotico della serva si è mutato in affezione sincera e zelante per il sempre amato padrone, che solo dopo il rischio della perdita della sua compagna comprende la vera natura del sua sentimento.
Queste sono le mie intenzioni e spero di riuscire nell'intento. Ma con La serva padrona – come con la maionese – si deve sempre stare all'erta! (note di regia a cura del Prof. Valerio Lopane, regista e musicologo)
La scelta del cast – piccolo nel numero ma prestigioso per qualità – è, come sempre, curata dal direttore musicale Damiano Maria Carissoni e dal direttore di palcoscenico Valerio Lopane, i quali si sono affidati ad interpreti ben conosciuti ed apprezzati dal nostro pubblico. Al soprano Yuko Sakaguchi sarà richiesto di confermare la sua vocalità agile e spigliata da autentica primadonna buffa, mentre il canto sempre misurato e corretto del basso Gabriele Sagona dovrà rendere giustizia ad un ruolo di basso-cantante troppo spesso affidato a voci che eccedono in facili effetti e nel parlato. Al debutto sul nostro palcoscenico, il muto Mauro Ghilardini caratterizzerà le scene di maggiore comicità.
In questo capolavoro degli intermezzi settecenteschi, la puntualità esecutiva e la correttezza formale del concertatore al pianoforte Damiano Maria Carissoni avranno la possibilità di diventare elevatissima cifra stilistica espressiva.
Alle prese con un capolavoro del genere buffo, infine, Valerio Lopane proporrà una regia tradizionale e vitale, che dimostrerà con garbo la spontaneità buffa dei personaggi della vicenda.

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