2019_05_31 laVerdi dirige Fournillier con Erika Piccotti e Luca Santaniello

Venerdì 31 maggio 2019, ore 20.00
Domenica 2 giugno 2019_06_02, ore 16.00
Auditorium di Milano, largo Mahler
laVerdi Stagione Sinfonica 2018/19
L’ultimo capolavoro di Brahms e la Settima di Beethoven

Johannes Brahms Concerto per violino, violoncello e orchestra in La minore op. 102
Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 7 in La maggiore op. 92
Violino Luca Santaniello
Violoncello Erica Piccotti
Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Direttore Patrick Fournillier

Dopo l’integrale della sue sinfonie, i due concerti per pianoforte e orchestra, il concerto per violino e orchestra op77 e la Serenata n.1, laVerdi conclude il lungo percorso che nella stagione 2018-19 ha dedicato ai capolavori orchestrali di Johannes Brahms. Con il Doppio concerto per violino e violoncello che, unendo forma sinfonica e forma concertistica in un solo capolavoro, il genio amburghese poneva fine al lungo ciclo di concerti e sinfonie con cui, dal 1862, aveva costellato la sua lunga carriera musicale. Non a caso fu lo stesso Brahms, a soli cinquantaquattro anni, a definire questo concerto «la mia folle, ultima composizione». A interpretare questo capolavoro venerdì 31 maggio (ore 20.00) e domenica 2 giugno (ore 16.00) all’Auditorium di largo Mahler saranno Luca Santaniello, primo violino dell’Orchestra Verdi e Erica Piccotti giovane talento italiano del violoncello. A dirigere l’Orchestra Verdi torna il maestro francese Patrick Fournillier, che dell’Orchestra Verdi è Direttore Principale Ospite. Nella seconda parte del programma spazio al genio di Beethoven, del quale ascolteremo la più solare, ritmica e estrosa tra le sue sinfonie, la n.7. una partitura maestosa, magmatica, drammatica e allo stesso tempo luminosa. Definita da Richard Wagner, “apoteosi della danza” la Settima venne eseguita a Vienna nel 1813 durante un concerto benefico a vantaggio dei soldati austriaci e bavaresi feriti nella battaglia napoleonica di Hanau. Un trionfo della vita nato dalla fatica e dal dolore. "Perché solo attraverso la sofferenza si può giungere alla gioia", come scriveva lo stesso Beethoven.


Venerdì 31 maggio 2019 ore 18.00 - Ingresso libero
Auditorium di Milano Fondazione Cariplo - Largo Mahler – foyer primo piano
Conferenza introduttiva
Biglietti serie Verdi: euro 36.00/16.00; Info e prenotazioni: Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, largo Mahler; orari apertura: mar/dom, ore 10.00/ 19.00. Tel. 02.83389401/2/3, www.laverdi.org  www.vivaticket.it.

Programma
Johannes Brahms (1833-1897) Concerto per violino violoncello e orchestra in La min. op. 102
Il Concerto in la minore op. 102, detto anche Doppio concerto, non è solo l'ultimo Concerto, ma l'ultima opera sinfonica in assoluto composta da Brahms. Vide la luce nell'estate del 1887, durante il periodo estivo che il compositore trascorreva come d'abitudine a Thunin Svizzera. L'insolita scelta di un genere, quello della sinfonia concertante, praticamente scomparso dal repertorio, è legata alla riconciliazione tra Brahms e uno dei suoi più celebri amici, il grande violinista Joseph Joachim. Le cose, fra Joachim e Brahms, si erano guastate anni prima, in occasione della causa di divorzio fra il violinista e la moglie, assai più giovane di lui; nel corso della quale, con gran sorpresa e disappunto di Joachim, Brahms aveva preso le parti di lei. Una prima esecuzione "privata" avvenne il 23 settembre dello stesso anno a Baden, con la partecipazione, come direttore, dello stesso autore e, come solisti, di Joachim e di Robert Hausmann (violoncellista del celebrato Quartetto Joachim). Neanche un mese più tardi, il 18 ottobre a Colonia, aveva luogo l'autentica prémiere, accolta non senza perplessità. Non c’erano infatti modelli ai quali si potesse far riferimento per un concerto con due strumenti ad arco solisti: capolavori come la Sinfonia concertante per violino e viola di Mozart e il Triplo concerto di Beethoven si collocavano in epoca lontana con caratteri del tutto diversi da quelli del concerto brahmsiano.  «La mia folle, ultima composizione»: così Brahms ha definito il suo Concerto per violino e violoncello, composto a cinquantaquattro anni. Un'età non poi veneranda o tale da far pensare a un ritiro; e infatti non fu certo quella l'ultima composizione di Brahms, che continuò a sfornare capolavori per quasi dieci anni ancora. Eppure dicendo quelle parole, così tipiche di un uomo come lui, malato di un pessimismo e di mancanza di fiducia in se stesso e negli altri, Brahms era sincero. Quasi tutte le musiche composte da Brahms dopo la cinquantina ebbero, almeno esteriormente, i caratteri dell'opera ultima: la Quarta sinfonia, tanto per citare l'esempio più clamoroso; ma anche tante delle composizioni da camera. E l'intenzione di ritirarsi fu più volte manifestata, del resto: come nel caso del Quintetto per Archi op. 111, composto nel 1890, che Brahms presentò agli amici come un addio alla musica, salvo poi invece continuare a comporre. Il Concerto in la minore si presenta come opera di straordinaria portata espressiva, tale da concedere ai solisti ampia occasione di farsi valere dal punto di vista interpretativo, oltre che da quello strumentale.

Ludwig van Beethoven (1770 - 1827) Sinfonia n. 7 in La maggiore op. 92
La Settima Sinfonia nasce fra l'autunno 1811 e il giugno 1812, in comunione con l'Ottava e con le musiche di scena per "Le rovine di Atene" e "Re Stefano" di Kotzebue. La prima esecuzione pubblica fu organizzata l'8 dicembre 1813 nella sala dell'università di Vienna in una serata a beneficio dei soldati austriaci e bavaresi feriti nella battaglia di Hanau dell'ottobre precedente: il concerto comprendeva anche due Marce di Dussek e di Pleyel e, dello stesso Beethoven, la Sinfonia "a programma" La battaglia di Vittoria, scritta per celebrare la vittoria di Wellington contro i francesi: opera che fu accolta con entusiamo dal pubblico mentre la Settima suscitò subito vive reazioni per il suo carattere estroso e anticonvenzionale. Friedrich Wieck (il padre di Clara Schumann) percepiva nell'opera “la mano di un ubriaco”, Weber individuò “eccessi oltre i quali non era più lecito spingersi” e la parigina "Revue Musicale", giudicava il finale «una di quelle creazioni inconcepibili che hanno potuto uscire soltanto da una mente sublime e malata». Richard Wagner, colpito dall'elemento ritmico che, incessante, pervade l'intera partitura, definì la sinfonia “l'apoteosi della danza. È la danza nella sua massima essenza, l'azione del corpo tradotta in suoni per così dire ideali”. Che la danza ed il ritmo penetrino in ogni settore della composizione è del tutto vero; il ritmo ne diviene categoria generatrice: dà forma ad incisi ed idee, innerva e vivifica la melodia, trasforma plasticamente i temi. Ma anche accelera i cambi armonici, concentra o disperde i motivi tra le varie fasce timbriche, sostiene e sospinge vigorosamente le dinamiche in espansione. Certo Beethoven ruppe con le forme sinfoniche ereditate da Haydn e Mozart e con la dialettica dei contrasti tematici propria della forma sonata, a favore di una struttura basata su elementi al loro stadio primario, sul gioco combinatorio, sul principio di una variazione, su una pulsazione rimica che permea l’intera partitura con uno slancio danzante e continue metamorfosi della materia sonora con una grande energia ritmica che si sprigiona a partire dall’introduzione giocata su continue e modulazioni e graduali trasformazioni della materia sonora che portano al ritmo puntato e danzante del vivace. L’Allegretto, uno dei più intensi crescendo della storia della musica insieme al Bolero di Ravel accompagna le scene cruciali di molti film, da Zardoz, film di fantascienza de di John Boorman del 1974) a al Discorso del re di Tom Hooper del 2010.

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