2011_03_30 Teatro Libero dedicato a chi ha paura

dal 30 marzo al 5 aprile 2011_11_30
Teatro Libero - Milano
Accademia dei Folli
Kvetch 
dedicato a chi ha paura...
di Steven Berkoff
regia di Carlo Roncaglia
con Lorenzo Bartoli, Luca Di Prospero, Enrico Dusio, Francesca Porrini, Carlo Roncaglia
È possibile prenotare nelle seguenti modalità:
via e-mail scrivendo a biglietteria@teatrolibero.it
chiamando allo 02 8323126

Dal 30 marzo al 5 aprile a Teatro Libero, uno spettacolo graffiante per raccontare le frustrazioni e i desideri più nascosti dell'essere umano
“Tutti noi viviamo con l’incubo delle bombe – del cancro – della disoccupazione – dell’impotenza – delle bollette – dei vuoti di memoria – di ingrassare – di essere stupidi – paura di fallire – di esporsi – di non capire una barzelletta… - motivo per cui questa commedia è dedicata a chi ha paura”
Kvetch, parola ebraica che significa piagnisteo, è il titolo della pièce di Steven Berkoff.
Una commedia graffiante e comica, una farsa tragica, un affresco amaro di varia umanità, inquietante e tenero allo stesso tempo. Poetico, triviale, urticante. Un viaggio affatto consolatorio nell’animo umano. Un girotondo di lamenti, di grida soffocate, di sogni di fuga, di furie represse che non trovano mai sfogo, una risata disperata e sguaiata che implode nell’intimo dei pensieri.
Berkoff mette in scena cinque personaggi, fra loro legati, un vero e proprio campionario di desideri inconfessabili: la moglie, casalinga frustrata, che sogna di essere violentata da due spazzini; il marito, piazzista, con pulsioni omosessuali; la suocera, una vecchia ingombrante e fastidiosa; il problematico collega abbandonato dalla moglie; l'uomo d’affari con l’ansia da prestazione sessuale. E li fa parlare, parlare, parlare. Ma le loro parole non vanno quasi mai d'accordo con i loro pensieri che, come in un flusso di coscienza, ci vengono sbattuti senza riguardo in faccia.
C’è da chiedersi però quale sia la voce a cui dar retta - quella più vera – e dove realmente risiedano le convenzioni. In ciò a cui uno è portato a pensare o nell’effettivo suo comportamento? Già… c’è una voglia matta di piangersi addosso.
Ciò che si intende mettere in scena è la profonda e universale insoddisfazione che cova in ogni personaggio. L’ambientazione è perciò quanto più possibile simbolica e atemporale. Una casa angusta in cui tutti vivono forzatamente vicini, “inscatolati”, dove il bagno confina con la cucina e la camera da letto, e tutti si dividono la coperta… i personaggi in scena sono tutti sotto un’unica cupola: una casa-contenitore che è il mondo e cinque insipide, grottesche esistenze in rappresentanza dell’umanità.

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