2017_11_23 TieffeTeatro Milano PLAY STRINDBERG prima milanese

STAGIONE  2017 | 2018
TieffeTeatro Milano
Stagione 48… il viaggio continua
@TieffeTeatro 
CALENDARIO SPETTACOLI TEATRO MENOTTI
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ORARI BIGLIETTERIA
Dal lunedì al sabato dalle ore 15.00 alle ore 19.00
domenica ore 14.30 | 16.30 solo nei giorni di spettacolo

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ORARI SPETTACOLI
martedì, giovedì e venerdì ore 20.30
mercoledì e sabato ore 19.30 (eccetto le prime ore 20.30)
domenica ore 16.30



23 novembre | 3 dicembre
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia – Artisti Riuniti - Mittelfest 2016
presentano
PLAY STRINDBERG
prima milanese
di Friedrich Dürrenmatt
traduzione Luciano Codignola
con Maria Paiato, Franco Castellano, Maurizio Donadoni
regia Franco Però
scene Antonio Fiorentino
costumi Andrea Viotti
luci Luca Bronzo
musiche Antonio Di Pofi

Dopo l’anteprima estiva al Mittelfest 2016 e l’applaudito debutto nazionale al Politeama Rossetti di Trieste, reduce da una tournée di successo, dopo Chiasso, Genova, Udine, Parma e Roma, arriva finalmente a Milano al Teatro Menotti Play Strindberg, testo che Friedrich Dürrenmatt rielabora dallo strindberghiano Danza macabra per tratteggiare uno spettacolo cinico e molto divertente.
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, è firmato da Franco Però che dirige un terzetto d’attori di assoluto livello – Maria Paiato, Franco Castellano, Maurizio Donadoni – capaci d’interpretare ogni sfumatura dei loro personaggi, di dare evidenza ad ogni potenzialità offerta dall’asciutta e intrigante scrittura.

Play Strindberg nasce al Teatro di Basilea nel 1969, scritta dall’autore svizzero tedesco proprio per la messinscena, molto applaudita. La pièce viene creata perché Dürrenmatt, che era parte della direzione del teatro, era affascinato dalle possibilità interpretative che Strindberg aveva ideato per gli attori nel dramma originale, ma profondamente insoddisfatto delle traduzioni e degli adattamenti esistenti. Così affronta egli stesso quella materia: ed il risultato si rivela molto più di un adattamento.

Sotto le livide luci di un ring che contiene gli elementi essenziali di un interno borghese (la scena è di Antonio Fiorentino), Maria Paiato (Alice), Franco Castellano (Edgar) e Maurizio Donadoni (Kurt), si confrontano in un eterno triangolo: si attaccano, si corteggiano, si colpiscono e si affrontano, si mettono alle corde come in un vero incontro di boxe. I costumi sono creazioni di Andrea Viotti, le suggestive luci sono firmate da Luca Bronzo e le musiche da Antonio Di Pofi.

Dürrenmatt si prende gioco di noi, della nostra vita famigliare, con tutte le armi che gli sono proprie, il sarcasmo, l’ironia che trascolora nel grottesco, il gusto del comico, ma anche la violenza del linguaggio e lo fa prendendo uno dei più formidabili testi di Strindberg, Danza macabra, e riscrivendolo da quel grande costruttore di storie teatrali qual’è.
Prende i tre protagonisti – il capitano, la moglie e il cugino/amante che ritorna – e li posiziona sotto le luci glaciali di un ring; seziona il testo strindberghiano e ne tira fuori undici round, intervallati dai gong – proprio come un incontro di boxe o di lotta – con la sola differenza che i combattenti sono tre.
Tutta l’essenza del testo originale rimane, ma Dürrenmatt ne esalta l’attualità, asciugando fin dove è possibile il linguaggio – già di per sé scarno – come in un continuo corpo a corpo, che solo il gong ferma per qualche istante, dando ai contendenti il tempo di un riposo per riprendere fiato e agli spettatori l’attimo di riflessione su quanto, nel round precedente, hanno visto.
Sono immagini veloci come flash di una lotta famigliare in cui arriva all’ improvviso il desiderato – da entrambi i coniugi – straniero, che veste i panni del cugino e rimette in gioco rapporti e conflittualità.
Il riso e il pugno allo stomaco, il sorriso e l’amarezza si alternano continuamente su questo palcoscenico-ring, riportando davanti agli occhi dello spettatore gli angoli più nascosti di quel nucleo, amato od odiato, fondamentale – almeno fino ad oggi… – delle nostre società: la famiglia.
Franco Però

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