Venerdì 6 febbraio 2015_02_06 ore 20.30
Domenica 8 febbraio 2015_02_08 ore 16.00
Giacomo Puccini
TURANDOT
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri
Su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni,
dalla omonima trama teatrale di Carlo Gozzi
Prima rappresentazione
Milano, Teatro alla Scala, 25 aprile 1926
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri
Turandot, Principessa (soprano) MARIA BILLERI
Guardie imperiali, boia, servi del boia, ragazzi, sacerdoti, dignitari, otto sapienti, ancelle di Turandot, soldati, portabandiera, folla ecc.
Scene e luci Angelo Linzalata
Costumi Elena Bianchini
Orchestra Filarmonica Puccini di Torre del Lago
Coro San Gregorio Magno
Nuovo Allestimento
Produzione Fondazione Teatro Coccia
Torna l’opera lirica al Teatro Coccia di Novara, dopo La Traviata e Les Contes d’Hoffmann, venerdì 6 febbraio alle 20.30 e domenica 8 febbraio alle 16 va in scena Turandot di Giacomo Puccini in un nuovo allestimento prodotto dalla Fondazione Teatro Coccia.
Protagonista dell’opera pucciniana, nei panni della principessa Turandot, Daniela Dessì, oggi considerata uno dei soprani più importanti al mondo, interprete di riferimento per il repertorio verdiano, pucciniano e verista. La sua bellissima voce, la tecnica impeccabile e uno straordinario istinto drammatico le hanno permesso di spaziare da Monteverdi a Prokof’ev e di affrontare più di settanta titoli operistici, come testimonia la motivazione di “soprano assoluto” con cui le è stato conferito il Premio Belcanto “Celletti” nel 2011. Richiesta nei teatri e nei festival più importanti del mondo, ha collaborato con i più autorevoli direttori d’orchestra e con i più importanti registi. Tra i suoi maggiori recenti successi vanno menzionati Tosca a Firenze, dove ha eseguito il bis di “Vissi d’arte”, a 52 anni di distanza dall’ultimo bis di un’aria concesso da Renata Tebaldi, Madama Butterfly a Roma e a Palermo, Adriana Lecouvreur a Barcellona, Tosca ad Atene e a Berlino, i concerti a San Paolo in Brasile in duo con Fabio Armiliato, il recital Novecento Italiano Rarities al Festival dei Due Mondi di Spoleto e all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, La forza del destino a Liegi, Aida all’Arena di Verona e La bohème con la regia di Ettore Scola al Festival Puccini di Torre del Lago.
A curare la regia dell’opera: Mercedes Martini. Diplomata alla scuola del Piccolo Teatro di Milano diretta da Giorgio Strehler, recita in “I giganti della montagna”, “La grande magia”, “Arlecchino servitore di due padroni”. Ha continuato la sua formazione frequentando seminari con Bruce Myers, Carolyn Carlson, Carlos Alsìna e Tatiana Olear del Teatro d’Arte di Mosca. Ha collaborato con molti registi, fra cui Elio De Capitani, Ferdinando Bruni, Francesco Saponaro, Pierpaolo Sepe, Gigi dall’Aglio, Armando Pugliese.
Sul podio, a dirigere l’Orchestra Filarmonica Pucciniana, il Maestro Matteo Beltrami, che nei suoi diciassette anni di carriera ha debuttato in oltre trenta titoli operistici spaziando dal barocco a prime assolute di opere contemporanee dirigendo nella maggior parte dei teatri italiani: San Carlo di Napoli, Massimo di Palermo, Bellini di Catania, Carlo Felice di Genova, Filarmonico di Verona, La Fenice di Venezia, Verdi di Trieste, Coccia di Novara, Verdi di Pisa, Giglio di Lucca, Goldoni di Livorno, Festival Verdi di Parma, Politeama Greco di Lecce, Della Fortuna di Fano, Pergolesi di Jesi, De Carolis di Sassari, Dal Verme di Milano, Festival Puccini di Torre del Lago, tra gli altri.
Nel ruolo di Calaf, il tenore Walter Fraccaro, Liù, la giovane schiava, il soprano Francesca Sassu, Ping, gran cancelliere, il baritono Bruno Praticò, Pong, gran cuciniere, il tenore Matteo Falcier, Pang, gran provveditore, il tenore Saverio Pugliese, Altoum, Imperatore padre di Turandot, il tenore Nicola Pisaniello, Timur, Re tartaro spodestato, è il basso Elia Todisco, il Mandarino è il baritono Daniele Cusari e il Principe di Persia il tenore Vladimir Reutov.
Il costo dei biglietti per lo spettacolo varia dai 30,00 ai 60,00 euro, a seconda del settore del teatro prescelto. E’ possibile acquistare i biglietti presso la biglietteria del teatro (Via Rosselli, 47 a Novara – telefono 0321233201) aperta da martedì a sabato dalle 10.30 alle 18.30, oppure online sul sito
www.fondazioneteatrococcia.it
Note di regia di Mercedes Martini: La mia Turandot è una principessa dei poveri. Poveri oggi sono quelli che non sono più padroni del loro tempo e mai padroni dei loro sentimenti.
Oggi, in piena crisi, abbiamo avuto pudore a rappresentare ricchezza, palazzi imperiali e sfarzi. Viviamo in un tempo di lavoro, o di ricerca del lavoro, un tempo che trasforma il nostro senso di famiglia, il significato dell'amore.
La storia è ambientata in Cina. Ai tempi di Puccini era un paese esotico e lontano. Oggi l'oriente è il centro di un mondo piccolo, vicino. È il mediterraneo che inteso dalla Cina diventa il paese dello straniero: punti di vista.
Straniero è una parola centrale del libretto, è così che Turandot chiama il principe senza nome. Straniero è l'uomo che viene da lontano e pretende di entrare in un territorio non suo. Straniero per Turandot è il maschio, in generale. La sua vita è una medaglia a due facce: paura e desiderio che vedremo danzare nei suoi doppi.
Diecimila anni di dinastie di famiglia, diecimila anni all'Imperatore: un padre molto amato dalla gente, e lei, la principessa pura, temuta e bellissima, fredda, cattiva. Cosa c'è dietro a questo? Un trauma vissuto da un'antenata. La paura di ciò che non si conosce.
Sotto di lei un popolo, che la venera, che la odia, che lavora per lei. L'abbiamo immaginato in uno spazio astratto che riecheggiasse i capannoni di Prato e gli hutong dei sobborghi di Pechino. Gli uomini affilano le armi che uccideranno i pretendenti della Principessa, le donne tessono il tessuto dell'abito da sposa, e lei lo scuce, lo strappa, come una Penelope orientale, non è pronta, non può sposarsi.
Nessuno osa affrontare la sua paura, l'altra faccia del suo desiderio. Il popolo non è padrone del suo tempo, lavora e basta, non può amare, se lei non ama, né essere felice, perché lei non lo è. Si contano i morti, si lavora tra le teste conficcate a perpetua memoria. Anche il vecchio Imperatore Altoum subisce questa follia, dopotutto la principessa è sua figlia.
Turandot è dentro le sue stanze di ghiaccio, a camminare sopra la testa della gente, intenta a non essere mai pronta. A non essere mai contraddetta.
“Il lavoro, che noia, a che siamo mai ridotti i ministri siam del boia”. Così cantano le maschere dell'opera, per Gozzi erano davvero personaggi della commedia dell'arte, noi li vediamo come corifei del popolo lavoratore, rappresentanti di chi sta dove si deve stare, per vivere tranquilli e non rischiare di morire, uomini con più facce. Sognano nostalgici luoghi di campagna, terre e laghetti blu. Lì c'è solo il lavoro, come negli stanzoni delle fabbriche sparse in tutto il mondo, sotto flebili lampadine, in condizioni dove diritto e dignità sono parole del tutto ignorate. Le giornate sono decise dal cattivo umore dell'erede al trono.
Meno male che c'é l'Imperatore, che si sporca i piedi tra la gente: "Non più sangue" canta. E supplica Calaf di non stare alla volontà della figlia. Ma Calaf ha sentito il suo profumo, il gelsomino che invade lo spazio, e ne è rimasto folgorato. Gareggerà, sfiderà la sorte e vincerà. "Non donarmi a lui come una schiava morente di vergogna" chiede Turandot al padre quando lo straniero scioglie gli enigmi. Si rivolge irosa al principe: "Non guardarmi così tu che irridi al mio orgoglio". Non solo di orgoglio si parla. Lei ha paura di ciò che prova. Ma sarà Liù con il suo sacrificio lo specchio decisivo del cambiamento della principessa. Turandot sarà toccata dall'amore, nella Pietà. Il ghiaccio si scioglierà "il gelo tuo è menzogna", e lei sarà finalmente così come la vuole il principe. Ardente di passione.