2011_11_19 Concerto di Triacamusicale a Vercelli

SABATO 19 NOVEMBRE 2011_11_19 alle 21.00
CHIESA DI SAN LORENZO - Vercelli

Concerto di Triacamusicale a Vercelli


L'ensemble vocale e strumentale, composto da 
Paola Cialdella, Superius 
Mattia Pelosi, Tenor 
Luigi Santos, Tenor 
Guglielmo Buonsanti, Bassus
Maria Chiara Demagistri bombarda contralto
Gaetano Conte bombarda tenore 
Roberta Pregliasco trombone tenore 
Corrado Colliard trombone tenore
Mara Colombo Maestro di Concerto
eseguirà la Messa polifonica del compositore fiammingo Johannes Ockeghem (ca. 1420 - 1497), 
"ECCE ANCILLA DOMINI"
presentata ad Oropa lo scorso giugno, nell'ambito della IV Edzione del Festival Gaudete! e della Borsa dei Percorsi Devozionali e Culturali.

Il Programma:

La creazione della messa polifonica nella sua forma definitiva fu evento fondamentale dell’arte gotica del Quattrocento: una serie di possibilità formali e stilistiche esistenti nella tradizione, sapientemente elaborate da autori diversi, si condensarono infine in una struttura esemplare per rigore di costruzione, destinata ad acquisire nel tempo il valore di una categoria formale. Così è stato ad opera di Johannes Ockeghem, che inaugurò la seconda generazione dei maestri di scuola franco-fiamminga. Nativo di Dendermonde ( 1420 ca. - 1497), fu tra i pochissimi di detta scuola a non soggiornare in Italia: due soli i viaggi accertati della sua biografia, il primo in Spagna poi nelle Fiandre. 
Formatosi nel coro della cattedrale di Anversa, intorno al 1450 fu al servizio di Carlo VII di Francia e rimase alla corte francese per il resto della sua vita, ricoprendo in concomitanza l’importante carica di tesoriere dell’Abbazia di San Martino a Tours: un’esistenza trascorsa interamente tra operosità e devozione, costume peculiare dei Paesi del Nord. 
L’opera complessiva del maestro fiammingo appare quantitativamente limitata, se si considerano i settantanni circa di vita: vi sono dieci messe complete oltre il primo Requiem polifonico e quattro messe brevi, a Ordinarium incompleto, raccolte in gran parte nel cod. Chigi C. VIII. 234 della Biblioteca vaticana; una decina di mottetti e poco più di venti chansons. Le messe di Ockeghem sono opera di una straordinaria maestria, che sa trarre elementi dall’Ars Nova del Trecento elevandoli a principi costruttivi assoluti: accogliendo il dettato ormai affermatosi nel primo Quattrocento, la Messa diviene una composizione ciclica, un organismo composito di differenti sezioni, saldamente unitario. Su modello di Dunstable e Dufay, l’uno suo precursore, l’altro suo contemporaneo, il grande fiammingo si affidò al materiale melodico del repertorio gregoriano dei tenor (frammenti vocali di una corda che cantando recita e marca il carattere di una melodia); applicò i modi dell’imitazione canonica, citando passi ricavati da composizioni polifoniche profane, incastonandoli in musiche per la liturgia sacra, previo opportuno aggiustamento del testo. 
Egli introdusse nella musica il tratto caratteristico gotico, per cui l’unità dell’opera è raggiunta attraverso l’organizzazione analitica degli elementi decorativi della stessa: in questo l’arte di Ockeghem riflette i fondamenti costitutivi l’arte figurativa coeva, in particolare quella della scultura applicata delle cattedrali. In tutti i punti in cui le linee dello scheletro architettonico si incontrano e dove terminano la loro corsa, si concentra il gioco di carico e scarico delle forze: lì è un germinare generoso di vita. Al colmo degli archi, al piede dei pilastri, alla cima delle colonne, alle cornici dei portali, agli sfoghi delle grondaie, sul puntale delle guglie, al treppiedi dei leggi, ai braccioli dei sedili: ovunque si concentra l’energia germogliano figure nobili e mostruose. Così nelle linee del canto, le note cardine archivoltano la melodia, strutturano l’armonia, sbocciano nelle fioriture. Per l’uomo gotico l’attimo non è fuggente, è ancora il momento del possibile: un tempo da dilatare, un tempo per meditare. La scrittura di Ockeghem rivela un amore per la sperimentazione, l’imprevisto, l’irregolare, lasciando trasparire al tempo stesso espressioni venate di sottile grazia melodica. Nella Messa Ecce Ancilla Domini si alternano diversi tipi di intrecci polifonici: momenti a due voci, che caratterizzano l’inizio di tutte le parti dell’ordinarium alla maniera di Dufay, si alternano alle parti a quattro; più rarefatto l’ impiego della scrittura a tre parti. La varietà dei raggruppamenti vocali determina i contrasti: ai passi polifonici che vedono l’impiego delle voci più gravi, segue il ritorno delle voci più acute, a sottolineare i momenti testuali di maggior espressione, come in “Miserere nobis”, “Qui tollis peccata mundi”, “Tu solus altissimus”.
Ogni parte dell’Ordinarium Missæ si caratterizza per lo slancio impetuoso che corre verso la chiusura finale, dove Ockeghem si compiace dello sviluppo di lunghi melismi, in un vertiginoso incedere ritmico governato dalla sapiente e mirabile mano di un maestro dell’ ars contrapuncti. La linea ritmica del cantus firmus, traccia dell’antico canto gregoriano, quasi sempre affidato al tenor (voce media), è modellata per distinguersi nettamente dagli andamenti delle altre voci, tra cui scorre come celato; spunti tematici migrano dal tenor alle altre voci, talvolta per contrappunto ad imitazione. Le linee vocali si snodano senza una norma metrica fissa, mobili e libere; le parole vi si dissolvono: restano le sillabe appoggiate al profilo del canto quasi casualmente, nella coerenza generale di un fascio sonoro unitario. 

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