Conferenza Ciclo Dvorák
Relatori Enzo Beacco e Aldo Ceccato
Ingresso libero
giovedì 30 maggio 2013_05_30
venerdì 31 maggio 2013_05_31
domenica 2 giugno 2013_06_02
Auditorium di Milano, largo Gustav Mahler
Stagione Sinfonica 2012-2013
Dvorák e Brahms: accoppiata vincente
per la bacchetta di Aldo Ceccato
A. Dvorák Sinfonia n. 4 in Re minore
J. Brahms
Danze Ungheresi,17-18-19-20-21 (Orchstraz. Dvorak)
Danze Ungheresi 1-5-6
Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Direttore Aldo Ceccato
Torna il Maestro Aldo Ceccato sul podio de laVerdi, per proporre al pubblico dell’Auditorium di Milano Fondazione Cariplo due autori dell’Ottocento mitteleuropeo dal fascino infrangibile quanto inossidabile – Dvorák e Brahms – in altrettante opere senza tempo. Un programma che si traduce in magnetismo puro per l’ascoltatore anche meno “introdotto” nella musica sinfonica: la Sinfonia n. 4 del grande boemo (superata in popolarità solo dalla successiva Sinfonia “dal Nuovo Mondo”) e le Danze ungheresi del genio tedesco, di cui saranno proposte le n. 17, 18, 19, 20, 21 (con l’orchestrazione proprio del collega boemo); e le n. 1, 5, 6, quest’ultime fra le più famose ed eseguite in assoluto.
Ceccato, uno dei più profondi e completi conoscitori e studiosi del compositore boemo sulla scena mondiale, torna così a dirigere l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, proseguendo con successo il progetto della proposta integrale delle sinfonie di Dvorák, dopo l’esecuzione lo scorso gennaio della Sinfonia n. 5; progetto che proseguirà anche nella prossima stagione de laVerdi – la Stagione del Ventennale - il prossimo ottobre, con la proposta della Sinfonia n. 3.
Appuntamento dunque per il consueto trittico giovedì 30 (ore 20.30), venerdì 31 maggio (ore 20.00) e domenica 2 giugno (ore 16.00) 2013, all’Auditorium di Milano in largo Mahler (info e prenotazioni: 02.83389401/2/3, www.laverdi.org).
Programma
La Sinfonia n. 4, composta in poco più di due mesi ed eseguita la prima volta a Praga il 2 febbraio 1890 sotto la direzione del’autore, è da sempre uno dei pezzi più amati di Dvorák, superata in popolarità solo dalla successiva Sinfonia “dal Nuovo Mondo”. La serena distensione, il naturale fluire del discorso musicale, la bellezza della melodia, la mancanza di forti contrasti, la brillante strumentazione, sono tutti elementi che rendono gradevole il lavoro, e non fanno rimpiangere la mancanza di architetture formali più elaborate. La forma sembra non avere altra pretesa che quella di fornire adeguato supporto al copiosissimo materiale melodico. L’Allegro con brio iniziale è basato sul contrasto piuttosto che sullo sviluppo dei temi, passando da andamenti impetuosi e violenti ad andamenti gentili e tranquilli ed è caratterizzato da un tema principale di sapore bucolico enunciato dal flauto. L’Adagio, riecheggiante da vicino un noto pezzo pianistico di D. intitolato Il vecchio castello, è introdotto sommessamente dagli archi, che avviano il ritmo e la melodia della prima parte, mentre la seconda è caratterizzata da una figurazione staccata distribuita fra archi e fiati. Il terzo tempo è basato su un movimento di valzer che contrasta con la sezione che funge da trio, dall’incedere semplicissimo quasi di canzone popolare. Una fanfara da inizio all’Allegro ma non troppo finale, a cui succede un breve episodio maestoso, d’andamento a processione. Il flauto introduce poi la seconda idea, non dissimile, peraltro, dalla prima, e presto seguita da una terza nella quale s’ascolta un duetto di clarinetti confortato da un risonante accompagnamento di bassi. Il finale conclude con il regolare ritorno del primo tema, misto a reminiscenze del primo tempo della sinfonia.
Le Danze ungheresi, originariamente composte per pianoforte a quattro mani, sono 21, distribuite in quattro quaderni. Il primo e il secondo quaderno, pubblicati nel 1869, ne contengono ciascuno cinque; il terzo e il quarto quaderno, pubblicati nel 1880, ne comprendono l’uno sei, l’altro cinque. Le melodie ungheresi (tzigane), che Brahms prese ad armonizzare ed elaborare, cominciarono ad interessarlo fin dal 1852, all’epoca in cui collaborava con il violinista ungherese E. Reményi. Tali rielaborazioni, cui lo stesso B. non dava molta importanza, ottennero tuttavia un travolgente successo di pubblico, già all’apparire della prima raccolta, tanto da rendere popolare il musicista anche presso strati di pubblico non ancor raaggiunti dalla sua produzione. Per quanto non ideate da lui, queste straordinarie melodie devono ad ogni modo a B. la notorietà mondiale di cui godono da più di un secolo. Ed è interessante notare come questa sua attenzione per il mondo musicale tzigano conviva parallelamente (per interi decenni) con la sua produzione più dotta: proprio da questa sua sotterranea passione scaturiscono non poche delle note di colore dei suoi concerti e delle sue sinfonie.
Formalmente semplicissime (in genere tripartite), queste danze presentano elementi espressivi tra loro nettamente contrastanti: il languore più sentimentale, l’irruenza più incontenibile, il gesto più rapido e giocoso. E il passaggio dall’uno all’altro di questi atteggiamenti sembra essere affidato all’estro improvvisatorio più acceso e imprevedibile. Delle 21 danze per pianoforte a quattro mani furono trascritte per orchestra dall’autore medesimo la prima, la terza e la decima, eseguite per la prima volta nel febbraio 1874 al Gewandhaus di Lipsia. Le altre, tranne l’ottava e la nona, sono eseguite di solito nelle trascrizioni sinfoniche di Parlow (fra le quali le due più famose, la quinta e la sesta), Hallén, Juon e Dvorák.
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