2020_05_03 Gian Carlo Menotti un ritratto dal giugno 1955 su Ricordiana

Gian Carlo Menotti MUSICISTA DEL MESE

Gian Carlo Menotti è l'uomo del giorno: Premio Pulitzer in America, polemiche su tutti i giornali italiani a proposito dell'ultima opera La Santa di Bleeker Street.
Menotti ha quarantaquattro anni e da circa venti compone opere teatrali che riscuotono successi strepitosi in tutti i paesi. Alla prima della Medium a New York seguirono 211 repliche consecutive, a quella de La Santa di Bleeker Street un centinaio. 
È un compositore strutturalmente moderno anche al di fuori della musica. 
Accompagna il più possibile le sue opere in giro per il mondo, ne cura la regia, combatte con i critici, risponde pacato e sicuro alle interviste televisive. 
Nelle brucianti battaglie milanesi, nella quiete della cattedra di composizione al Curtis Institute di Filadelfia, nei travolgenti entusiasmi di New York, a Praiano sul golfo di Salerno dove si è ritirato in questi giorni per stendere il soggetto di un nuovo lavoro, Menotti vive con uguale intensità i diversi momenti della sua arte.
Perché Menotti è popolare
A proposito del recente successo de La Santa di Bleeker Street alla Scala, un autorevole osservatore straniero notava che le prime di Menotti ci fanno fare lavoro doppio: capire Menotti, e poi capire perché la critica non lo capisce (almeno in gran parte). 
Veramente il broncio, le bizze della critica di fronte a ogni nuovo amore del pubblico, sono fenomeni frequenti. Si direbbe che essa s'ingelosisca e perda la bussola, quando vede che la folla le sfugge di mano, come una ragazza vivace che s'innamora di chi le va a genio, anziché attenersi alle raccomandazioni e ai rimbrotti della sua severa tutrice, che aveva caldeggiato per lei ben altri sicuri partiti. 
Quei rimbrotti sono, del resto, umanamente spiegabili. 
La critica più matura non sempre sa comprendere « à quoi rèvent les jeunes filles». 
Essa è fedele a concezioni estetiche, a tagli di abiti, a « redingotes », a pizzi di barbe, a giacche di velluto, a stili, a forme di gusto, su cui ha già investito la sua riputazione, e deve continuare a difenderli a oltranza, anche quando il mutare dei tempi vorrebbe nuovi sarti e nuovi barbieri.
Ora se c'è qualche cosa che muta nel gusto popolare (il quale in definitiva detta legge in simile campo) è proprio il gusto del teatro in musica, basato sopra una convivenza, perennemente in crisi, fra la musica e il dramma. Oggi la sensibilità spettacolare del grande pubblico è molto diversa; il cinema, gli stadii hanno creato ritmi diversi nella emotività delle folle; diciamo anche che le abbiano viziate con la frequenza degli « shoks », paragonabile all'uso di bevande molto forti. 
Ma il pubblico odierno è quello che è; e con esso l'artista deve fare i conti, alla fine, non con i recensori dei giornali, di cui può anche infischiarsi, anzi, in molti casi decisivi, deve infischiarsi, perché se li stesse a sentire, il pubblico non sentirebbe lui (e si addormenterebbe alla sua musica). 
Fare i conti con questo pubblico non è facile: e fra i musicisti di oggi, bisogna riconoscerlo, Menotti è riuscito a farli meglio di ogni altro. Non è andato troppo per il sottile, siamo d'accordo, sui mezzi con cui bisognava afferrare queste folle appassionate di cinema e di stadii: ma sta il fatto che, in una città come New York, egli le ha afferrate; le ha fatte entrare nel suo teatro, invece che nella porta vicina del cinema; ha deviato insomma la corrente popolare, l'ha ricondotta nel teatro d'opera. A noi sembra che questo solo fatto sia di una tale importanza, da invitare alla meditazione piuttosto che alla denigrazione prestabilita. 
E, se ci si sforza, con un pochino di buona volontà, di arrivare alla comprensione, si deve onestamente riconoscere che Menotti ha creato una nuova « apertura », anche popolare, al teatro musicale contemporaneo; e l'ha creata semplificando all'estremo la formula, sfrondando tutto ciò che poteva essere decorativo, artificioso, lento, cerebrale, complicato, anti-acustico per puntare principalmente su forti situazioni drammatiche attuali (di cui egli ha indubbiamente il dono della geniale invenzione), e sulla ancora più forte amplificazione emotiva, patetica, che queste situazioni acquistano per il canto tonale, melodico, all'italiana, con larghe frasi appassionate, di vibrante vocalità — come appunto il teatro italiano ha sempre più o meno amato. 
Naturalmente Menotti ha fatto cadere la bardatura melodrammatica o sinfonistica o decadente, ha trovato un tipo di dramma tutto suo, di atmosfera e di colore come la vita di oggi ne presenta nelle grandi città, con i problemi, gli incubi, il senso della morte, dell'aldilà, che più angosciano l'anima contemporanea. 
Su queste linee dinamiche le frasi di canto filano elementari e avvincenti, entrano nei nervi della gente e infine anche nel loro cuore. Questo ritorno al canto melodico e drammatico può facilmente indurre nella impressione che gli spartiti di Menotti siano pieni di reminiscenze: e difatti nelle recensioni dei suoi lavori noi assistiamo di solito a una sorta di esercitazione cinegetica, di caccia alle reminiscenze. Dobbiamo dire in proposito che se queste reminiscenze, specie di Puccini, veramente ci fossero, esse non ci procurerebbero, alla fine, fastidio maggiore del molto Debussy, Strauss, Stravinskij, Hindemith, Schoenberg e Bartok che da tanti anni ascoltiamo nella musica altrui. 
Ma in realtà le reminiscenze pucciniane o altro che siano, attribuite a Menotti, derivano per lo più dalla soggettiva illusione prospettica, per cui alla prima veduta di nuove cose, ci si immagina di averle già viste o di ricordarne dei tratti. Anziché riconoscere il nuovo, si ricorda il già noto. A questo si aggiunga un facile compiacimento di sfoggiare cultura e memoria musicale. Ma quando poi si vanno a verificare le presunte reminiscenze sullo spartito, si deve riconoscere che esse esistevano solo nello zelo cinegetico dei non benevoli ascoltatori. Mi ricordo che anche Puccini veniva continuamente accusato dai suoi critici, di plagi e di molte altre pecche, le stesse all'incirca che oggi si addebitano a Menotti. 
Può essere anzi di curiosa attualità rileggere la stroncatura della Bohème che il critico Pierre Lalo pubblicò su Le Temps dell'11 gennaio 1899, e specialmente queste frasi: 
« Je concède volontiers que La Bohème est « théâtrale ». Mais il faut alors dire que le souci « de faire du théàtre » y nuise à la musique, car la musique est, dans l'oeuvre de M. Puccini, ce qui me déplait le plus.
Tout d'abord, sous prétexte de suivre le drame, d'étre vraie ou « veriste » elle se brise, se divise, se morcelle en une foule de petits fragments, d'épisodes sans importance, sans lien, sans union:  ce sont des parcelles de musique... Ca et là, il est vrai quelques phrases violemment chantantes s'élèvent de cette poussière...
Ce compositeur  montre en  beaucoups  d'occasions le  mauvais  goùt  le  plus déplaisant; il a des idées abondantes et faciles; mais elles sont presque toutes vulgaires ou insignifiantes. On a dit que M. Puccini empruntait son ispiration mélodique a M. Massenet. En ce cas, M. Puccini n'a pris a M. Massenet que ses qualités les plus contestables :   le contour  trop  arrendi de la phrase,  la banalité caressante de la forme, la recherche de l'effet vocal, ou de l'effet tout court. Il n'a pas la passion ni l'élégance de t'auteur de Werlher. Ses mélodies sont faibles et molles;  elles bercent, et sont des mélodies indulgentes a la digestion des personnes qui ont bien diné. Cela suffit, il est vrai, a expliquer leur succès, mais non a le justifier… Et il faut entendre ces cris inexorablement poussés sur les notes hautes et le plus souvent appuyés, doublés par un unisson des violons a l'aigu, pour savoir jusqu'où peut aller la trivialité italienne... ».
[ndr questa traduzione non è presente nell’articolo originario che riporta solo la versione francese, si vede che il lettore destinatario si supponeva in grado di comprendere. “Ammetto prontamente che La Bohème è 'teatrale'. Ma poi bisogna dire che la preoccupazione di "fare il teatro" danneggia la musica, perché la musica è, nel lavoro di Mr. Puccini, ciò che non mi piace di più.
Prima di tutto, con il pretesto di seguire il dramma, di essere vero o "verista" si spezza, si divide, si divide in una folla di piccoli frammenti, di episodi non importanti, senza collegamento, senza unione: questi sono trame di musica ... Qua e là, è vero che alcune frasi violente che cantano sorgono da questa polvere …  Questo compositore mostra in molte occasioni il cattivo gusto più spiacevole; ha idee abbondanti e facili; ma sono quasi tutti volgari o insignificanti. È stato detto che M. Puccini prese in prestito la sua ispirazione melodica da M. Massenet. In questo caso, il signor Puccini ha preso dal signor Massenet solo le sue qualità più discutibili: il contorno eccessivamente morbido della frase, la banalità carezzevole della forma, la ricerca dell'effetto vocale o l'effetto tutto breve. Non ha la passione o l'eleganza dell'autore di Werlher. Le sue melodie sono deboli e morbide; oscillano e sono melodie indulgenti per la digestione delle persone che hanno cenato bene. È sufficiente, è vero, spiegare il loro successo, ma non giustificarlo ...
E devi sentire queste inesorabili grida gridate sulle note alte e il più delle volte supportate, raddoppiate da un unisono di violini negli acuti, per sapere fino a che punto la banalità italiana può arrivare ... ".]
Come si vede, i tempi cambiano, ma le critiche si fanno sempre più o meno con gli stessi argomenti e anche con le stesse insolenze.
articolo di GIORGIO  VICOLO 

LA SANTA DI BLEEKER STREET di Gian carlo Menotti

Battaglie, questa Santa di Bleeker Street, non ne ha suscitate durante la sua apparizione scaligera: con delusione forse dell'amatore di scandali e di emozioni violente, che, fidando nell'orma! celebre precedente del Console sperava di assistere ad un doppio spettacolo: uno sul palcoscenico e l'altro in sala ad opera delle contrastanti turbe di assertori ed oppositori.
Non c'è stata battaglia, almeno in teatro dove i tre atti sono filati via tra gli applausi convinti ed entusiasti del pubblico
Ma, come era da aspettarsi, non tutta la critica fu dello stesso parere, poiché qualche articolista pensò di attaccar battaglia per conto suo, giostrando dalle colonne del suo giornale contro il compositore e facendo ricorso spesso a quei « colpi proibiti » che sono, nella carta stampata, le intemperanze di linguaggio
Purtroppo sta diventando malattia cronica di un certo giornalismo il tono di catoniana acerbità con cui si riprendono compositori rei di scrivere musiche non gradite; e i tapini sono perseguiti con locuzioni che non escono, ahimè, dai trattati di estetica ma dai dizionari compilati sull'uso delle diatribe politiche o degli inveleniti sfoghi che echeggiano nei campi sportivi. Anche questo contribuisce ad approfondire, con il disorientamento, il solco già così largo ed ampio, fra il gusto del pubblico che tira da una parte e la valutazione del critico che muove in direzione opposta. Non sono, questi, momenti belli per la musica, che par diventata il campo di Agramante e la torre di Babele ad un tempo, in cui le discordie accrescono la confusione con effetti magari pittoreschi ma penosamente scoraggianti. 
Ma torniamo alla Santa.
Nel disegno generale l'argomento dell'opera è pio ed edificante: Annina, una stigmatizzata  in voce di santità, vuol prendere il velo nonostante l'opposizione del fratello Michele; riesce tuttavia a coronare il suo sogno, e veste l'abito religioso proprio in punto di morte. Ma non si tratta di un dramma religioso, o almeno non è solo un dramma religioso. Se anche l'opera si apre e si chiude fra il canto delle litanie e dei canti liturgici ed il primo atto termina con il passaggio di una processione, sulla vicenda devota si innestano molti altri motivi, in una ramificazione complessa che le precedenti opere di Menotti non conoscevano. 
Si può dire — a proposito dell'intrecciarsi di tutti i temi del racconto che, con maggiore o minore autorevolezza, sono tutti determinanti ai fini del dramma — che se un richiamo può essere fatto alla poesia del Medio Evo il modello non è già una « Devozione » o una Sacra rappresentazione trasferita in età ed ambiente moderno, ma la forma allegorica del «Trionfo» : trionfo dell'amore nella varietà di aspetti che legan fra loro i personaggi: amor sacro e amor profano; amore coniugale ed amor di madre; amicizia; e perfino un amore fraterno che minaccia di dare nell'incestuoso. Sono legami sottili che costruiscono la vicenda con tagli polivoci che, dando un significato simbolico ai personaggi, ne ingrandiscono la modesta statura portandoli in una zona corale; non diversamente da quanto era avvenuto nel teatro russo.
Per questo la vicenda di cronaca attribuita ad un gruppo di abitanti in una «Little Italy» americana, che edificano la loro vita nel ricordo e sul metro di un atavico gusto della vita (i rapidi umori del sangue, la paesana giocondità festiva e gli impulsi della fede) conservano il tono coreografico e superstizioso di certa facile religiosità meridionale.
Nella fedeltà della rappresentazione dell'ambiente è uno dei risultati più alti raggiunti dal Menotti, al di fuori di certo effettismo descrittivo (la banda nella processione, il rumore della metropolitana) che è riscattato, nell'economia dell'opera, dai risultati propriamente scenici.
La musica segue la rapida e mutevole azione con la valida varietà di elementi tratti alla tradizione italiana: romanze, duetti, terzetti, pezzi d'insieme, intermezzi, cori, presentati attraverso un arioso che è il tono espressivo predominante e nel quale si riconoscono i tratti di quell'affinamento stilistico e di quella inquieta volontà di nuovo che anima l'autore.
Egli stesso ha curato, con minuta pazienza, secondo l'abitudine, la regia e la messinscena dell'opera, per la quale ha avuto alcuni di quei collaboratori che già nell'autunno scorso, al Broadway Theatre di New York l'avevano aiutato a conquistare per la Santa il Premio Pulitzer dei critici: il Maestro concertatore e direttore, Thomas Schippers, il bozzettista George Tooker, le protagoniste Gabriella Ruggiero e Gloria Lane. Furono calorosamente applauditi, insieme agli altri interpreti: L. Danieli, Eugenia Ratti, D. Poleri, Silvio Maionica; tutti, insieme con l'autore, furono chiamati alla ribalta una trentina di volte.

articolo di RICCARDO  ALLORTO

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