Giovedì 7 marzo 2019 ore 10:00
Teatro Dal Verme - Milano
6° ritratto d'autore:
Franz Joseph Haydn (1732-1809)
Biglietto al prezzo ridotto di 5 euro per gli studente, omaggio per gli accompagnatori; non ci sono costi aggiuntivi per l'incontro.
Programma:
Franz Joseph Haydn
Ouverture in Re Maggiore Hob. Ia:7
Concerto per pianoforte e orchestra Hob.XVIII:11 in Re Maggiore
Vivace - Un poco Adagio - Rondo all’ungarese: Allegro assai
Sinfonia n. 102 Hob.I: 102 in Si bemolle Maggiore
Largo – Vivace; Adagio; Minuet: Allegro; Finale: Presto
Il 7 Marzo 2019 alle 10.00 è previsto un concerto monografico su Haydn, uno dei padri della musica classica! Al termine del concerto il M° Daniele Parziani, esperto di didattica musicale, direttore dell’Orchestra giovanile e dell’Accademia di formazione orchestrale I Piccoli Pomeriggi Musicali, insegnante e musicista, terrà un incontro con le scuole.
Questo incontro offrirà la possibilità di comprendere, intessere nessi e corrispondenze, tracciare linee guida, dare strumenti di lettura e paragone tra la musica di ieri e quella di oggi che rimarranno nel bagaglio musicale degli studenti: musica vissuta e viva, quindi, fra ciò che è stato, ciò che è e ciò che potrà essere. I ragazzi verranno invitati a intervenire e a dialogare con Parziani, affinchè abbiano un'esperienza attiva e non "subiscano" una lezione eccessivamente didascalica. Vogliamo stimolare l'attenzione e la curiosità dei ragazzi verso un argomento, la musica sinfonica, che troppo spesso viene vissuta come una dimensione dell’arte “colta e impegnativa”, senza tempo, più spesso “fuori” dal tempo.
Note a cura di Gaia Varon
Il nome di Haydn evoca immediatamente la sinfonia o il quartetto per archi, com’è ragionevole, perché non solo il suo catalogo comprende oltre duecento composizioni soltanto in quei due generi, ma perché l’invenzione musicale di Haydn ha segnato indelebilmente la storia di entrambi, come quelle del trio e dell’oratorio. La sua produzione fu tuttavia abbondantissima ed estremamente varia, toccando sostanzialmente tutti i generi musicali settecenteschi, anche perché Haydn trascorse una larga parte della sua vita al servizio della corte degli Esterházy dove i suoi compiti includevano la composizione di musiche per ogni tipo di occasione. Se di queste molte sono oggi se non dimenticate, quanto meno poco eseguite, dipende da come è andata nella storia della musica, che ha premiato quelle più significative e innovative a discapito delle tante che sono semplicemente garbate e godibili. Il concerto per strumento solista e orchestra è un esempio emblematico: Haydn ne compose a decine, destinati agli strumenti più classici del genere, ma rivolgendosi talora ad altri meno comuni, dalla tromba alla lira organizzata (uno strumento stravagante che combinava la ghironda e un piccolo organo); solo per la tastiera il suo catalogo ne include una dozzina, scritti per lo più nella fase centrale della sua carriera, sostanzialmente spariti dal repertorio a eccezione dell’ultimo, in Re Maggiore (Hob XVII:11), composto probabilmente intorno al 1782, quando ancora Haydn non conosceva quelli di Mozart ed è facile supporre, come fanno Piero Rattalino e altri, che proprio la scoperta delle opere del collega, e lo sviluppo straordinariamente rapido che Mozart portò al genere del concerto per pianoforte e orchestra, abbiano dissuaso Haydn dal comporne altri. Charles Rosen ne descrive le ragioni con acutezza, a partire dai tratti dello stile Haydn che avrebbero potuto garantirgli proprio un’ottima riuscita nel genere: il suo insuperabile talento per il coup de théâtre e le modulazioni a sorpresa, la capacità di inventare melodie immediatamente evocative e di dipingere immagini e sentimenti, come fa nei suoi grandi oratori. Certamente mancava a Haydn l’esperienza maturata da Mozart fin da giovanissimo come brillante concertista internazionale, ma Rosen individua piuttosto la superiorità mozartiana in una diversa capacità di governare il movimento su larga scala e giudica l’ultimo concerto di Haydn timido, garbato ma insapore anche a confronto con altre e più inventive sue composizioni quali i trii con pianoforte o le ultime sonate. Rosen naturalmente guarda a questa pagina da teorico interessato a ricostruire lo sviluppo dello stile classico e la «timidezza» che riscontra è rilevante in quell’ottica, ma non inficia la gradevolezza del concerto, che infatti fu all’epoca un successo straordinario, tanto da essere pubblicato da ben otto editori diversi in cinque Paesi solo mentre Haydn era in vita (e ne circolavano anche svariate edizioni pirata).
I tratti migliori del suo stile ci sono tutti: esuberante energia nei tempi veloci, grazia e cantabilità in quello lento, la rapida successione di melodie varie e contrastanti, in genere esposte dall’orchestra e poi riprese ed elaborate dal solista.
Il movimento più innovativo è il terzo, un Rondò «all’ongharese» che è fra i più antichi esempi di inserimento di stilemi della musica popolare in quella colta.
L’Ungheria non era lontana dalla città natale di Haydn, Rohrau, ma le danze ungheresi circolavano largamente e i loro ritmi vibranti e caratteristici fornirono a Haydn una materia perfetta per un finale tipicamente brillante ed espansivo. Nella descrizione del principale studioso di Haydn, H.C. Robbins Landon, «è un tour de force di un’originalità e rapidità da togliere il fiato. Sembra di avere davanti agli occhi le figure danzanti che ruotano davanti a un fuoco da campo in una sconfinata e solitaria pianura ungherese, un paesaggio impervio con un fascino che ha ammaliato ogni visitatore perspicace e dotato di immaginazione».
Nelle molte ouverture che Haydn compose perlopiù per le proprie opere teatrali si ritrovano in forma concentrata i tratti caratteristici del suo stile, e quella in Re Maggiore (di cui non si conosce la destinazione originaria) non fa eccezione: scambi rapidi e un dialogo serrato fra i gruppi strumentali, una progressiva espansione del materiale presentato in apertura e soprattutto un senso infallibile della strutturazione temporale del brano che cattura l’ascoltatore nel procedere del movimento per poi sorprenderlo con mutamenti e svolte inaspettati.
C’è tutto questo e altro ancora nella Sinfonia n. 102, composta da Haydn durante il secondo soggiorno londinese e una delle sue ultime in assoluto. Opera della maturità di un compositore che aveva scoperto due anni prima un nuovo pubblico e che ora, nel 1794, ne conosceva la preparazione e il piacere di farsi sorprendere dalle sue invenzioni musicali, la n. 102 ne offre una già nell’intensa Introduzione (Largo) che apre la composizione e che anticipa la magnifica descrizione sonora del Caos all’inizio della Creazione: una successione di accordi e brevi frammenti che si dissolvono ripetutamente in un clima insieme sereno e misterioso per disperdersi infine in una delicata filigrana del flauto da cui parte, sbrigliato, il successivo Vivace, il cui tema spensierato iniziale affidato dal violino germina dall’arcana musica di poco prima. Qui Haydn sciorina sorprese e coup de théâtre in abbondanza, con un susseguirsi di accordi in fortissimo, pause repentine, scarti ritmici, contrasti dinamici, progressioni che si arrestano imprevedibilmente e altrettanto imprevedibilmente ripartono, fino a un teatrale rullo di timpani che dà l’avvio alla ripresa.
Infinitamente più quieto, il successivo Adagio in Fa Maggiore è un capolavoro di invenzione sonora: trombe con sordina e timpani, il fagotto sospinto nel registro acuto, un solo del violoncello sono solo alcuni degli ingredienti che rendono perfetta e visionaria questa pagina orchestrale (di cui esiste anche una versione cameristica, non meno impeccabilmente idiomatica, che Haydn usa nel suo Trio con pianoforte in fa diesis minore). Il terzo tempo sembra un’equilibrata dimostrazione del situarsi di Haydn fra Mozart e Beethoven: un Minuetto robusto e umoristico come gli scherzi beethoveniani con al centro un Trio di una grazia squisita che ricorda il primo. Nel Finale della Sinfonia, come in quello del Concerto, Haydn prende a prestito un motivo popolare e conclude con uno dei suoi più riusciti scherzi musicali: i violini sembrano bloccarsi e incespicare senza riuscire a riesporre correttamente il tema, come un ragazzino che si impappina a scuola sulla poesia da mandare a memoria, finché non interviene la piena orchestra a rimetterli in carreggiata e condurli a un finale straripante di energia.
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