Auditorium, Largo Mahler Milano
Around the World: la Gran Bretagna
Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi Milano
Francesco Maria Colombo, direttore
Programma completo della rassegna Around the World
Cena dopo concerto Torna la cena sul tram storico ATMosfera dopo il concerto (partenza ore 22.30 circa, euro 45,00 sola cena oppure euro 55,00 concerto più cena); info e prenotazioni: tel. 02/83389331-238; e-mail: abbonati@laverdi.org
La stagione de laVerdi per Expo 2015 entra nel vivo. Sabato 13 giugno (ore 20.30), all’Auditorium di Milano in largo Mahler, primo appuntamento con Around the World, la rassegna musicale pensata e realizzata per l’Esposizione universale milanese. L’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, diretta da Francesco Maria Colombo, accompagnerà gli spettatori italiani e stranieri in un lungo viaggio musicale attorno al mondo, fino a sabato 24 ottobre, attraverso 14 concerti dedicati alle musiche di altrettanti Paesi che partecipano ad Expo e che hanno dato il loro patrocinio all’iniziativa.
Si comincia con la Gran Bretagna, con l’ascolto di opere scritte da cinque autori d’Oltremanica: Walton (Orb and Sceptre), Bax (Tintagel), Delius (The Walk to the Paradise Garden), Britten (Four Sea Interludes da Peter Grimes), infine di Elgar la popolarissima Pomp and Circustance (Marcia n. 1 op. 39).
“Volevo presentare il maggior numero di autori possibili – spiega Colombo – perché questi concerti non sono caratterizzati, come normalmente accade, da un meditato equilibrio fra i pezzi che lo compongono. Devono essere al contrario uno showcase di quello che si lega, in musica, alle varie civiltà. Con questi concerti vorrei che si capissero le ragioni linguistiche per le quali, ad esempio, la musica brasiliana è diversa da quella ungherese e viceversa. E nel nostro viaggio opereremo connessioni fra le varie culture: ad esempio la Spagna della Carmen di Bizet o della Jota di Glinka, come esaltazioni della couleur locale”.
Introduzione al programma, brano per brano. di Enzo Beacco
Nell’Europa continentale, soprattutto a sud della Alpi, cioè da noi, in Italia, poco si sa della vita musicale nelle isole britanniche di prima metà Novecento. Scorrendo i programmi delle nostre (poche) orchestre sinfoniche, s’incontrano rare volte i nomi del maturo Elgar, del più giovane Vaughan Williams, del giovanissimo Britten. Resta pervicace il luogo comune di un’Inghilterra priva d’inventiva musicale dopo il miracolo di Purcell a fine Seicento, la colonizzazione italo-germanica di Händel nel primo Settecento, il deserto completo d’intero Ottocento.
Non è davvero così. Una sicura pigrizia di programmazione mantiene nell’oscurità tanta buona musica di autori spesso ottimi e comunque interessanti. Bello, allora, che la speciale stagione dedicata a quattordici paesi piccoli o grandi (per estensione geografica) inizi proprio con la Gran Bretagna. Bello che il periodo (e non solo gli autori) sia ben circoscritto al primo cinquantennio del Novecento. E che l’impianto monografico (in senso nazionale) consenta di accostare compositori che usano le medesime parole in musiche tanto diverse per toccare le corde profonde della Nazione: la forza del mare e l’orgoglio imperiale.
Sono appunto imperiali i due brani che aprono e chiudono il programma di stasera. I tempi sono però invertiti. L’impero si sta sgretolando, con l’India perduta e soltanto un paio di baluardi residui in Asia, quando nel 1953 William Walton (1902-83) riceve la richiesta ufficiale di comporre una marcia solenne per la cerimonia d’incoronazione della nuova (e attuale) regina Elisabetta II. Walton allora ha 51 anni e fama consolidata. Dopo l’esordio provocatorio con il melologo diventato balletto Façade (1923), trova un più cauto linguaggio modernista e trionfa con l’oratorio Belshazzar’s Feast (1931), con la prima sinfonia (1935), il concerto per viola (1929). Scomparso Elgar nel 1934, Walton diventa il più apprezzato autore inglese del tempo, tanto che già allora gli è affidata la composizione della marcia dell’incoronazione di Giorgio VI (1937). S’intitola Crown Imperial e ha successo immediato, così come le numerose colonne sonore per film a soggetto bellico e shakespeariano che seguono. Pur se il suo primato è intaccato dall’ascesa di Britten nei primi anni Cinquanta, la commissione di una nuova marcia reale è quasi un atto dovuto. Walton rispetta la tradizione, anzi si lega ancor più al modello del defunto Elgar. Pertanto, Orb and Sceptre è un pezzo a grande effetto, con esaltazione della parte bandistica dell’orchestra sinfonica. Dunque: squilli di trombe, bordate di ottoni, rulli di tamburi e grancassa nella sezione di apertura; ampia cantabilità da inno chiesastico nella parte centrale; infine ripresa della prima parte, con sonorità sempre forti ma più omogenee, per assicurare la dovuta solennità; e per sfumare quel pizzico d’irriverenza canzonatoria che traspare fin dall’inizio, e che pervade la musica tutta di Walton.
Assai meno scanzonato e molto più compunto è Arnold Bax (1883-1953). Ricco di famiglia, compie studi regolari a Londra e può dedicarsi senza patemi alle sue passioni per la musica e la letteratura. Ama il grande Nord, le isole selvagge battute da venti e onde, i miti celtici, la poesia romantica. Conosce bene l’armonia di Wagner. Lo affascina il colore livido ma intenso, appunto nordico delle partiture di Sibelius. Assorbe ritmi e melodie da Russia e Ucraina. I regolari soggiorni sulle scogliere dell’Irlanda settentrionale e della Scozia, il contatto con la tradizione gaelica temperano il formalismo londinese e danno un sapore unico alle sue tante partiture per i generi più diversi: sette sinfonie, una ventina di poemi sinfonici, vari altri pezzi orchestrali, tanta musica strumentale da camera e ancor più per pianoforte solo, liriche per voci singole e corali, colonne sonore, tre balletti. Sono lavori sempre legati al crepuscolo romantico europeo, a Wagner in particolare; lontani da sperimentalismi e avventure. Piuttosto inseriti nel gran filone che, a inizio Novecento, cerca in musica dissolvenze e sfumature, mutazioni emotive piuttosto che contrasti dialettici, insomma impressionismi. Si coglie bene nella partitura orchestrale più nota di Bax e tuttora in repertorio: il poema sinfonico Tintagel. Composto nel 1919, s’ispira alle rovine del castello omonimo sulla scogliera settentrionale della Cornovaglia, presunta sede di re Artù e dei suoi mitici cavalieri, luogo di memorie e di amori infelici. Nell’ossessivo respiro di un mare che si gonfia e s’infrange riconosciamo gli echi lontani dell’amato Tristano di Wagner e anche quelli, ben più vicini, di La mer di Debussy.
L’influenza dell’impressionismo francese è forte anche su Frederick Delius (1862-1934), che è un inglese assai particolare, perché in patria davvero vive poco. Nasce, infatti, nell’Inghilterra settentrionale da genitori tedeschi, ricchi commercianti. È avviato agli affari di famiglia in Florida, dove conosce spiritual e blues. Si dedica soltanto alla musica, completa gli studi in Germania, dal 1890 in poi vive stabilmente nella regione parigina. Ottiene i primi successi in Germania. In Inghilterra lo aiuta l’appassionato apostolato del direttore d’orchestra (e mecenate) Thomas Beecham. I legami con il paese natale sono dunque tenui. Lo spirito, e non solo l’esistenza, è cosmopolita, ma non in senso superficiale, si direbbe piuttosto tardo imperiale. In Delius prevale una forma di dolore del mondo, un severo pessimismo che avrà concretezza nei tristi suoi ultimi anni di cieco su una sedia a rotelle. Il diffuso lirismo, le melodie che derivano dal canto degli schiavi d’America e dei contadini d’Europa, i suoni della natura, appena attenuano la prospettiva atea e forse nichilista dei suoi maggiori lavori corali A Mass for Life (1905) e Requiem (1914), nessuno dei quali si regge su testi religiosi. L’armonia resta wagneriana e riprende, accanto al cromatismo esasperato, il velenoso connubio di amore e morte proprio del Tristano. Così succede nell’opera A Village Romeo and Juliet (Berlino, 1907; Londra, 1910), nella quale The Walk to the Paradise Garden è un interludio sinfonico fra due scene: illustra una tappa del cammino che i due sfortunati giovani amanti compiono verso la barca con la quale affonderanno se stessi e il loro amore.
Muore suicida in barca, ma solitario e maledetto, anche il pescatore Peter Grimes, protagonista dell’opera omonima che nel 1945 consacra Benjamin Britten (1913-76) come massimo compositore inglese del Novecento. Ancora una volta abbiamo una storia angosciosa e triste, costruita musicalmente su frammenti di canti marinari, su colori orchestrali lividi, armonie inquiete. Il percorso che porta Grimes alla tragica fine, fra l’indifferenza del borgo e l’impossibile amore, è punteggiato da interludi soltanto orchestrali che ci rappresentano un mare sempre grigio, talvolta minaccioso, mai amico. La fortunata suite sinfonica subito ricavata raccoglie quattro interludi marini: Alba, Domenica mattina, Chiaro di luna, Tempesta. Non c’è sole, non c’è felicità, nemmeno nel giorno di festa. È triste l’alba, nebbiosa la luna, fragoroso l’uragano.
E ci accorgiamo che il mare, come ovvio, sta nel cuore di tanta bella musica inglese di pieno Novecento. Quel mare così spesso desolato e crudele che tuttavia sostiene la potenza e l’orgoglio nazionale. Come ben rappresenta in musica un marcia inglese che compete in universale popolarità con quelle italiana dell’Aida di Verdi e asburgica di Radetzky di Strauss: Pomp and Circumstance n. 1 di Edward Elgar (1857-1934). Prima di una serie (incompiuta) di sei, la marcia nasce nel 1901, subito acclamata a Liverpool prima e Londra poi. Ancor più dei giochi di prestigio nella strumentazione delle sezioni laterali, conquista il pubblico la melodia centrale. Immediatamente (1902) dotata di un testo appropriato, con il titolo Land of Hope and Glory diventa un inno nazionale concorrente a God save the King e Rule Britannia; indispensabile modello per il successore Walton, immancabile sostegno di cerimonie sempre pompose (e meno imperiali).
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