di Rodolfo Celletti
È
una richiesta che m'è stata rivolta da diversi lettori e da tempo
immemorabile o giù di
lì. Un tema da svolgere a puntate, ovviamente, e vengo subito al
fatto.
1°) Falsettisti
artificiali (oggi Contratenori)
Risalgono
al XIII
secolo.
Trovarono posto nel
canto
sacro,
a causa del divieto
alle
donne
di esibirsi nelle
chiese.
Imitano
artificialmente
il suono bianco della voce femminile,
usando prevalentemente l'emissione
detta di testa. Si dividono in
soprani
e contralti.
Rarissimo l'uso del termine di mezzosoprano
negli antichi testi. Il
termine di soprano è preceduto, nel Mottetto,
da quelli di: Discantus, Triplum, Cantus
e, finalmente, Superius. Nel periodo polifonico il soprano
artificiale è la voce virtuosistica
per eccellenza.
Resta
tale anche nella seconda metà
del Cinquecento, con
l'introduzione del madrigale profano e delle
prime forme monodiche. Il termine di contralto deriva, alla lontana,
da quello di contratenor, che risale al madrigale
del Trecento. Circa due secoli dopo, abbiamo
uno sdoppiamento in contratenor altus
e contratenor bassus.
Il
Contratenor altus è poi abbreviato in contralto. I
falsettisti artificiali
furono
soppiantati dai castrati,
nelle cappelle principesche e delle grandi
chiese, tra la fine del Cinquecento e i primi
del Seicento, per taluni difetti connessi
al loro tipo di emissione:
in particolare il
suono spesso stridulo degli acuti e esile al centro.
Il loro impiego, sotto il nome di
Contratenori, in opere del Sei/Settecento per sostenere parti scritte
per castrati, è fatto
dell'ultimo ventennio del nostro secolo. Ha incontrato un certo
successo, in teatro e in disco,
soprattutto in America e in Inghilterra.
Storicamente questo uso è improprio,
sia perché mai, nel Sei/Settecento, i
falsettisti artificiali parteciparono a spettacoli
operistici, sia perché, quando i castrati
vennero a mancare (primo ventennio dell'Ottocento)
a sostituirli in alcune parti per essi
scritte furono chiamati dei contralti donne.
Esempio: Giuditta Pasta come Armando
d'Orville del Crociato
in Egitto di
Meyerbeer.
Legittimo
è invece l'uso dei contratenori nelle musiche polifoniche, nel
madrigale monodico
e in parti specificamente composte
per falsettisti artificiali da compositori moderni
(Oberon in A
Midsummer Night's ream di
Britten). Nondimeno, l'impiego dei
contratenori in opere del Sei/Settecento o
largamente preferibile all'abitudine,
invalsa
nelle
rare riesumazioni degli anni Trenta
e sopravvissuta fino a una quindicina
di anni fa, di sostituire i castrati con tenori o con baritoni. Mi si
concederà che quando
la Scala, nel 1953, diede L'Incoronazione
di Poppea con il tenore Renato
Gavarini come Nerone e il baritono Rolando Panerai come Ottone, per
replicarla poi nel 1967 ancora con
il Gavarini (e poi Giuseppe Di Stefano) e
con il baritono Alberto Rinaldi nella parte di Ottone,
raggiunse il colmo del ridicolo. Ma tutto
questo lo si faceva perché, imperversando
ancora la storiografia e la critica di parte idealista, bisognava
adeguarsi alle sante
norme del dramma musicale. Niente è più
nefasto dell'italiano
che
scimmiotta i tedeschi. Anche in musica. Tra
i contratenori da me ascoltati (per lo più
in disco) attribuisco senz'altro il primo posto
a Russel Oberlin per dolcezza, uguaglianza,
levigatezza, attitudini virtuosistiche, espressività. Questo,
aggiungerò, è anche il parere di Marilyn Horne. Dopo Oberlin,
il migliore è forse Paul Esswood, sebbene
un poco esile e scarsamente espressivo,
mentre piuttosto mediocre mi sembra James Bowmann. Il tanto celebrato
Alfred
Deller — per altro eccellente musicista —
aveva voce chioccia, stridula, dura e limitata
espressività sotto il profilo dell'interpretazione teatrale.
2°) Falsetti naturali o
castrati
L'uso
della castrazione — più propriamente
orchiectomia — fu importato dall'Oriente
tramite la Spagna. I primi castrati giunti in
Italia furono appunto spagnoli: Francisco
Solo, che entrò nella Cappella Pontificia
nel 1562 e Hernando Bustamente, che intorno
al 1580 era al servizio della corte di Ferrara.
L'operazione
arrestava la crescita della laringe
prima della «muta» e cioè prima che la
voce del ragazzo assumesse i caratteri della
voce adulta per l'abbassamento dei suoni
di un ottava.
II
medico
italiano Romolo
Gazzani, che ha svolto ricerche sull'orchiectomia,
ritiene
che
essa consistesse nella
legatura del funicolo testicolare, ma non esclude
che a volte si procedesse addirittura all'esportazione
dei testicoli. Lo scopo da raggiungere, comunque, era l'atrofia lenta
e progressiva del testicolo per impedire la secrezione
del testorene, ormone al quale si devono
fenomeni come la crescita della
laringe
(con conseguente abbassamento di un'ottava
della
voce),
la crescita della
barba
e
simili.
L'orchiectomia
toglieva ai castrati la
facoltà di procreare, ma non l'amplesso. Infatti
il liquido germinale è secreto dalla prostata, mentre i testicoli
secernono gli spermatozoi. Quindi permanevano tutti
i piacevoli
effetti, dovuti alla secrezione del liquido
germinale,
ma l'assenza di spermatozoi precludeva la possibilità di generare.
La mancanza del testorene poteva
però determinare
invecchiamento precoce, prematuro
affievolimento dell'erezione del membro
e anche accentuate forme di malinconia
senile in soggetti ancora relativamente giovani.
Per
effetto dell'orchiectomia, la voce rimaneva
brillante,
fresca e penetrante come in quella
dei ragazzi. Tra le manifestazioni secondarie,
si aveva la comparsa di caratteri pseudofemminili (blocco della
crescita della barba, come ho già
accennato) e petto cosiddetto carenato, con un ampliamento della
gabbia toracica che lasciava maggiore spazio
allo sviluppo dei polmoni. Assoggettato
a
ferree ed assidue esercitazioni vocali, il ragazzo
acquisiva in questo modo una capacità
polmonare abnorme, con ripercussioni
dirette sulla potenza del suono e sulla durata
dei fiati, e indirette — ma anche queste
propiziate da un severissimo sistema di
studi — sulla duttilità,
sulla
morbidezza, sulla
spontaneità del legato, sull'estensione e
sull'agilità. Severo era anche lo studio; della
musica (armonia, contrappunto, strumenti:
sempre il clavicembalo, a volte anche organo, violino o viola).
Naturalmente, non tutti i castrati arrivavano ad eccellere;
i più anzi, s'arrestavano a parti di fianco
o entravano nei cori delle chiese. Al vertice
della piramide si avevano, tuttavia, cantanti d'una bravura
irripetibile.
I castrati erano distinti in
sopranisti e contraltisti, ma questo non comportava diversità di
ruoli. Nell'uno e nell'altro caso competeva ai castrati la parte di
eroe innamorato, mitologico o storicizzato o leggendario che fosse, e
in taluni casi anche quella di antagonista, generalmente di rango
pari al rango dell'amoroso. Una rassegna delle parti sostenute dai
castrati annovera Orfeo, Giasone. Achille, Enea per giungere ai
Romolo, Annibale. Scipione, Pompeo Magno, Silla, Giulio Cesare oppure
ad eroi di poemi cavaliereschi — Orlando, Tancredi, Rinaldo — o
figure storiche del medioevo (Totila. Bcrengario) e talvolta anche di
epoche successive.
IlI concetto al quale
s'improntava questo impiego dei castrati era quello che essi
costituivano una casta vocale superiore per un insieme di ragioni in
gran parte legate alla matrice barocca del melodramma italiano:
a) possesso d'un timbro raro,
stilizzato, ai limiti dell'irrealtà e quindi congeniale a personaggi
mitici;
b) possesso di qualità
eccezionali (penetrante sonorità, abnorme durata di fiati, agilità
virtuosistica, estro e dottrina nelle improvvisazioni) in grado di
avvalorare anche sotto questo aspetto l'essenza mitica ed epicizzante
del personaggio.
Si noti che una legge del
melodramma belcantistico, non scritta, ma valida fino a Rossini, era
questa: la «coloratura» e il virtuosismo in genere erano
elementi di caratterizzazione sia di sentimenti e passioni espressi
in una singola aria o in un singolo duetto, sia, su un piano più
generale, del rango e dell'epicità del personaggio. Quanto più
arduo era il virtuosismo, tanto più elevato era il tasso di
soprannaturalità o regalità o epicità del personaggio;
c) possesso di altre qualità
(duttilità, attitudine ad addolcire, smorzare ed assottigliare i
suoni, fermezza e continuità di flusso respiratorio nel legato,
leggiadria e levità nella fiorettatura) che assicuravano una
perfetta esecuzione della melodia idilliaca, elegiaca, patetica (il
cosiddetto stile «cantabile») o di carattere estatico-amoroso;
d) possesso d'una fantasia, in
senso sia espressivo che virtuosistico, le cui invenzioni erano
sollecitate da un completo dominio dello strumento voce non meno che
dall'esperienza contrappuntistica.
Vanno attribuite ai castrati,
direttamente o indirettamente: la divulgazione e il perfezionamento
della tecnica di respirazione; gli effetti di «messa di voce»
(attacco in pp., graduale rinforzamento, graduale ritorno al pp.,);
l'uso spettacolare di certi tipi di trilli, come quelli cromatici
eseguiti in successione e senza riprese di fiato in ascesa e in
discesa (Baldassarre Ferri, metà Seicento); il suggerimento ai
compositori del tardo Seicento e primo Settecento della grande aria
tripartita, con tre cadenze diverse, mutamento di tonalità nella
seconda sezione, variazioni dell'esecutore nella terza sezione o «da
capo» ; lo sviluppo e la diffusione delle arie con strumento
concertante e relativa competizione tra voce e strumento;
l'introduzione, ai primi del Settecento, d'una fiorettatura
minuziosa, con terzine, quartine, gruppetti, mordenti applicati alle
singole sillabe d'ogni parola (Antonio Maria Bernacchi);
l'introduzione, sempre ai primi del Settecento, di più ampie
sonorità tanto nel recitativo, quanto in passi vocalizzati («agilità
di bravura» o di forza: ancora Bernacchi e, subito dopo, il
Farinelli e il Carestini).
Altro impiego dei castrati,
sopranisti o contraltisi che fossero, era quello di impersonare
l'amorosa, presentandosi in vesti femminili. Generalmente ciò
avveniva dove era vietato alle donne di comparire in teatro: Stati
della Chiesa, escluse Emilia e Romagna, nei secoli XVII e XVIII;
Portogallo nel secolo XVIII. Per le parti femminili «in travesti»
si sceglievano castrati giovanissimi ai quali, tra l'altro, certi
tratti femminili assicuravano, sembra, molta credibilità. Per la
storia, la prima Cecchina della Buona figliola di Piccinni (1760) fu
un sopranista.
La mancanza di mezzosopranisti
fu un fatto assai più nominale e di prestigio che reale. Il
melodramma belcantista, tendendo all'astrazione, non ebbe mai bisogno
delle precisazioni timbriche di cui, invece, avvertirono la necessità
il romanticismo, il verismo e, in talune occasioni, Mozart. Ma
soprattutto, le voci cosiddette intermedie (baritoni, mezzosoprano,
mezzosopranista) erano considerate di rango inferiore e volgari,
perché molto diffuse. All'atto pratico, tuttavia, e stando alla
scrittura dei compositori del Seicento, le tessiture dei sopranisti
non sono molto elevate, di solito, e anche l'estensione del registro
acuto non oltrepassa, generalmente, il La 4.
In molti casi si potrebbe
perciò parlare di mezzosopranisti, oggi sostituibili più con
mezzosoprani acuti che con soprani. In compenso, è molto netto il
divario timbrico e di tessitura con il contraltista, che è veramente
una voce profondissima il cui canto si esaurisce in poco più di
un'ottava, partendo in genere dal SOL 2 (sol grave). I primi esempi
di tessitura profonda sono Arcetro dett'Euridice di Caccini e il
protagonista dell'Orfeo di Monteverdi, ma altrettanto gravi sono
alcuni contraltisti di Cavalli. Le tessiture restano molto profonde
anche con operisti del tardo Seicento, del primissimo Settecento che,
come Steffani, estendono la gamma acuta fino al mi in quarto spazio
(MI 4).
Nel Settecento, Haendel e
coevi alzano sensibilmente le tessiture dei contraltisti; ma
contemporaneamente s'accentua nella seconda metà del Settecento e
oltre. La parte di Arsace dell'Aureliano in Palmira scritta da
Rossini per Velluti, che aveva iniziato la carriera come sopranista,
è nominalmente di contraltista, ma corrisponde per tessitura e gamma
d'estensione a quella d'un mezzosoprano attuale.
Nel suo periodo migliore
(1720-1730), il Farinelli interpretava parti di contraltista profondo
(impressionante la tessitura ideata per lui da Vinci in un'aria del
Medo, in cui la voce scende al DO 2 e vocalizza di continuo sotto il
rigo). Tuttavia, le tessiture delle parti scritte per lui da Porpora,
che fu il suo maestro, fanno di solito pensare che il vero baricentro
della voce fosse la zona del mezzosoprano. Questo problema tornerà a
porsi, all'inizio dell'Ottocento, per cantanti come la Grassini, la
Colbrand, la Pasta, la Malibran, definite contralti in partenza,
divenute poi soprani, ma di fatto mezzosoprani non qualificali come
tali per questioni di etichetta. Nessuna divisione in sottoclassi,
fra i castrati, salvo quelle indicate dalle gerarchie teatrali. Il
castrato, spesso denominato musico, era «prima uomo» o «secondo
uomo», se di modesto rango o principiante. Niente castrati di grazia
o di forza o di agilità oppure lirici e drammatici. Ovviamente,
c'era chi eccelleva in espressività, chi nel virtuosismo, ma i
castrati erano tenuti a eseguire tutti gli stili. Raramente — e ciò
accadde comunque soltanto nel melodramma barocco dell'ultimo Seicento
— i castrati sostennero parti comiche. Anche nell'opera giocosa del
Settecento la loro presenza fu sporadica, e limitata alle cosiddette
«parti serie».
Castrati storici: Girolamo
Rosini, sopranista, la cui soavità ed uguaglianza di suono e di
fraseggio estromise dalle cappelle romane i falsettisti artificiali
(primo Seicento); Loreto Vettori, sopranista e compositore,
stile espressivo e virtuosistico (prima metà Seicento); Baldassarre
Ferri, sopranista, il primo castrato in cui la tecnica vocale e i
doni naturali, fondendosi e integrandosi, fanno gridare al fenomeno
(metà Seicento); Francesco Grossi, detto Siface, sopranista
prima, quindi contraltista: stile patetico (fine Seicento); Matteo
Sassani. detto Matteuccio, sopranista, stile patetico e stile
brillante( fine Seicento); Nicolò Grimaldi, detto il cavalier
Nicolino, contraltista, stile aulico ed espressivo, primo castrato
idolo della Londra Haendeliana; Francesco Bernardi, detto il
Senesino. contraltista. successore del Grimaldi a Londra come amoroso
ed eroe haendeliano, stile aulico ed espressivo; Antonio
Bernacchi, contraltista e didatta, stile patetico, stile di
grazia, virtuosismo di forza (prima metà Settecento); Carlo
Broschi, detto il Farinelli o il Farine! lo, il maggior cantante
mai esistito, stando ai testi per lui composti e alle cronache del
suo tempo.
Valido in tutti gli stili
(prima metà Settecento) Giovanni Carestini detto il Cusanino,
prima sopranista, quindi contraltista, virtuoso ed espressivo. Forse
il maggior castrato della storia dopo il Farinelli, al quale fu
contrapposto da Haendel (prima metà Settecento); Gaetano Majorana
o Majorano, detto il Caffarelli, sopranista, stile brillante e
virtuosistico, con eccessi (metà Settecento); Giuseppe Appiani,
contraltista, stile virtuosistico e stile espressivo (metà
Settecento'); Gioacchino Conti, detto il Gizziello,
sopranista, stile espressivo, eccellenza nei cantabili (metà
Settecento); Gaetano Guadagni, contraltista, stile semplice ed
espressivo, erede del Gizziello (seconda metà Settecento); Giovanni
Manzoli, sopranista, stile elegiaco ed espressivo (seconda
metà Settecento); Giuseppe Aprile, contraltista, stile
patetico e stile virtuosistico (seconda metà Settecento). Tra la
fine del Settecento e i primi dell'Ottocento emergono: Luigi
Machesi, sopranista, stile brillante-rococò; Gaspare
Pacchierotti, sopranista, stile patetico, espressione
protoromantica; Gerolamo Crescentini, sopranista, stile
elegiaco-patetico; Giovanni Battista Velluti, sopranista, poi
contraltista, stile elegiaco, stile virtuosistico.
Articolo di Rodolfo
Celletti [manca riferimento all’anno di pubblicazione e su che
testata]
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