Tre nuovi compositori con tre operine in scena alla Piccola Scala di Milano
Ma i giovani sanno inventare musica?
MILANO - Tre operine dì giovani alla Piccola Scala. Per loro ho rinunciato a Pollini che la ingegnosa organizzazione del teatro ha collocato nella medesima sera alia Grande. Non è stato un sacrificio da poco. Ma poteva darsi che nel trio vi fosse il genio sorgente del secolo. E se il pubblico, come un secolo fa alla prima di «Cavalleria-i, fosse balzato in piedi agitando i cappelli e gridando «Abbiamo il nuovo maestro».
Non mi sarei mai perdonato di aver perso l'occasione.
Ed eccomi allora alla Piccola Scala in attesa della rivelazione. Un po' di Mascagni e un pò dì Puccini, per la verità, c'era in qualche parto degli apprendisti compositori. Ma non da farci balzare sulle sedie. Vogliamo riassumere in un motto una franca impressione?
Eccolo: «Nati ieri, eseguiti oggi, dimenticati domani*.
Sul domani, però, non bisogna mai giurare: la prima opera di Wagner non annunciava certo il «Tristano». Chi può prevedere come maturerà l' immaturo? Ognuno comincia dai padri, subendoli o ribellandosi, come i nostri tre esordienti — Ruggero Laganà, Ivan Fedele, Luca Mosca — che si scelgono il proprio modello, secondo le tendenze diverse e contraddittorie dell'arte e della società dei giorni nostri.
Cominciamo quindi dal Laganà, nato a Milano nel '56, che ha aperto la serata con un atto buffo — «Trottola, ovvero gli incanti del mercato »— in cui si narra l'antica storiella orientale del povero che «ruba» il profumo dell'arrosto ed è condannato a pagare col suono del denaro. Sull'esile trama, rielaborata da Giuliano Corti, il compositore in erba appende una serie di scampoli eterogenei da Puccini, quello del «Trittico», a Prokofiev — cuciti alla brava con qualche filo della sartoria contemporanea,
Nella scelta del materiale, nella disposizione, nella costruzione non c'è ombra di stile, ma sotto il disordine affiora la tendenza del “ritorno all'antico” in cui tanta arte d'oggi si rifugia dopo le avventure dell'avanguardia.
Questa tendenza, disordinata in Laganà, appare più controllata e giocata nel «Sogno di Titania» del venticinquenne Luca Mosca che ha concluso la serata. Il giovane Mosca - già abbondantemente eseguito, per la verità - sa quel che vuole: egli si schiera tra i ribelli artistici che “ammazzano il padre per resuscitare il bisnonno”.
Nella sua operina, intessuta sull'episodio fiabesco del «Sogno di una notte di mezza estate», ritornano tutte le sbavature del tardo romanticismo, ma così mal cucinato du richiamare all'orecchio Respighi piuttosto che Strauss. II dilettantismo, già evidente nelle precedenti partiture strumentali del prolifico compositore, diventa addirittura imbarazzante alle prese con le voci. Basterebbe il tenorismo vociare, stile anni Trenta, del povero Oberon, a denunciare l'imperizia del principiante.
Dall'acqua marcia delle fontane di Roma ci cava, per fortuna, Ivan Fedele, un leccese quasi trentenne che ha studiato con Gorghi e .si è perfezionato con Donatoni. Fedele cerca modelli più vicini a noi. E li trova in Bussotti e Sciarrino che gii suggeriscono un elegante madrigalismo per voci e strumenti, adatto a evocare le atmosfere di sogno in cui è immersa la coppia di «Oltre Narciso»: quasi un balletto con una coppia di danzatori in scena e due cantanti ai lati in cui emerge, se non la fantasia, per lo meno l'eleganza della scrittura: un calligrafismo elegante e svagato, nato anch'esso dalla delusa stanchezza dei tempi.
Ognuno dei tre lavori, insomma, riflette, in modo aristocratico o volgare, una medesima condizione epidermica che è quella di tanta arte dell'ultimo Novecento. Che la riflettano “ricalcando molto e inventando poco”, è normale in scrittori dì nuovo pelo che matureranno in seguito una loro originalità, se ne sono capaci.
Per questo, tutto sommato, è lodevole l'iniziativa degli enti di Arezzo e di Roma che, assieme al Conservatorio di Milano, hanno compiuto l'esperimento, realizzandolo con una pleiade di allievi del Piccolo Teatro, di Brera, del Conservatorio stesso. E realizzandolo, diremmo, con professionalità sovente già maturo. articolo di Rubens Tedeschi
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