Auditorium di Milano Fondazione Cariplo
largo Mahler - Milano
Stagione Sinfonica 2017-2018
Organizzato da LaVerdi
Stagione Sinfonica 2018
Venerdì 27 aprile 2018_04_27 ore 20.00
Domenica 29 Aprile 2018_04_29 ore 16.00
Bernstein e Beethoven: tutti i colori di Madre Natura
Jader Bignamini torna alla guida de laVerdi in un programma dal fascino ineffabile: la Seconda sinfonia dell’americano e la Sesta del tedesco a confronto.
Guest Star il pianista Emanuele Arciuli, atteso ritorno
all’Auditorium di Milano
Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Pianoforte Emanuele Arciuli
Direttore Jader Bignamini
(Biglietti: euro 36,00/16,00; Info e prenotazioni: Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, largo Mahler; orari apertura: mar/dom, ore 10.00/ 19.00. Tel. 02.83389401/2, www.laverdi.org – www.vivaticket.it ).
Jader Bignamini, all’indomani della direzione di Puritani al “Massimo” di Palermo, torna nella sua “casa naturale” – laVerdi – per dirigere l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi in un affresco musicale a tinte forti, originale, fascinoso e inconsueto, di sicuro impatto emotivo nelle sue differenti caratteristiche. La locandina scelta dalla “bacchetta” lombarda è tesa infatti a enfatizzare le peculiarità di due opere apparentemente lontane, se non addirittura antitetiche, quali la Sinfonia n. 2 dell’americano contemporaneo Leonard Bernstein, universalmente conosciuta come The Age of Anxiety, e la Sinfonia n. 6 di Beethoven, altrettanto universalmente conosciuta come Pastorale, legate tuttavia dall’ineffabile “filo rosso” teso da Madre Natura, nelle sue diverse manifestazioni.
Due date disponibili per un evento da non perdere: venerdì 27 (ore 20.00) e domenica 29 (ore 16.00) Aprile, all’Auditorium di Milano. Guest Star in largo Mahler – altro gradito quanto atteso ritorno - il pianista pugliese Emanuele Arciuli, impegnato in apertura di programma nel capolavoro di Bernstein, che manca all’Auditorium dal febbraio 2001.
Jader Bignamini introduce all’ascolto di Bernstein e Beethoven:
“Potrebbe apparire come un programma inconciliabile se non distonico, quello proposto dalla locandina attuale, che vede la Sinfonia n. 2 di Leonard Bernstein, The Age of Anxiety, contrapporsi (o piuttosto affiancarsi) alla Sinfonia n. 6 di Beethoven. Invece mi sento di poter dire con la massima convinzione che mai scelta è stata più azzeccata, e il pubblico ne avrà grande soddisfazione. Del resto, il nesso tra i due capolavori, al di là dei 140 anni di distanza e di tutte le differenze che si portano dietro, a partire dai contesti storici, è evidente; in entrambe si parla di natura: quella umana nel contemporaneo americano, quella pastorale nel tedesco ottocentesco.
“Anche sotto l’aspetto tecnico, in entrambi i casi siamo di fronte a due opere peculiari e distintive: se la Numero 2 di Bernstein più che una sinfonia è un vero e proprio concerto per pianoforte e orchestra, la Sesta beethoveniana è caratterizzata da cinque movimenti, in una successione di titoli programmatici che la rende unica nella produzione sinfonica del genio di Bonn.
“Tornando a Bernstein, la direzione di The Age of Anxiety è una prima assoluta personale: e sono doppiamente contento di condividere questa mia grande emozione con laVerdi, Orchestra nella quale sono nato e cresciuto. Si tratta di un’opera estremamente difficile e complessa, stravinskijana nella struttura ma con sorprendenti aperture romantiche che riportano alle sonorità brahmsiane, che si articola in continui cambi di tempo, dove il confronto tra pianoforte e orchestra deve manifestarsi e articolarsi con la massima precisione e puntualità di esecuzione.
“Mirabili e affascinanti le 14 variazioni sul tema della prima parte, che si evolvono ampliandosi e diversificandosi come una sorta di virus musicale, per passare alla impronta dichiaratamente jazzistica della seconda, con l’impiego parallelo di numerosissimi strumenti a percussione anche inconsueti, fino al grandioso finale, con il ritorno al tema dell’esordio”.
Ecco il commento di Emanuele Arciuli sul brano di Bernstein:
“The Age of Anxiety è il maggior contributo che Leonard Bernstein abbia dato - da compositore - al pianoforte, lo strumento da lui più amato e che suonava magnificamente.
“Pagina complessa, scomoda, problematica, ma affascinante e ricca di colori, la Sinfonia n. 2 è di fatto un concerto per pianoforte e orchestra, in cui il rapporto fra il piano e l’orchestra, cioè fra l’individuo e il mondo circostante, si fa di volta in volta conflittuale e conciliante, dissonante e invece pacificato. Pagina ancora attuale, The Age of Anxiety offre, della musica di Bernstein, una prospettiva diversa rispetto alle opere più popolari - West Side Story fra tutte - ma altrettanto significativa”.
Leonard Bernstein e la Sinfonia n. 2 The Age of Anxiety
“L’affascinante e raccapricciante ègloga di Wystan Hugh Auden mi appassionò subito in modo Lirico quando la lessi per la prima volta nell’estate del 1947. Da quel momento la composizione di una sinfonia basata su The Age of Anxiety divenne qualcosa di impellente; e ci lavorai sopra con fermezza da quel momento, a Taos, a Philadelphia, a Richmond nel Massachussetts, a Tel Aviv, in aereo, nelle hall degli alberghi, e finalmente (la settimana precedente la première) a Boston”.
Così lo stesso compositore riassumeva sul programma di sala del concerto a Boston (8 aprile 1949) la complessa genesi della Seconda Sinfonia ispirata ad una poesia del celebre poeta inglese Auden. Gli impegni come direttore d’orchestra sul finire degli anni Quaranta diventavano sempre più importanti per il trentenne talento emergente della musica americana e s’intersecavano con la sua vulcanica vita privata. Per dedicarsi alla composizione promessa a Serge Koussevitsky (affettuoso mentore del giovane talento nonchè leggendario direttore dell’Orchestra Sinfonica di Boston) Bernstein pensò di prendersi un periodo di vacanza accompagnando il poeta inglese Stephen Spender in un isolato ranch a 2000 metri d’altezza sopra la cittadina di Taos nel Nuovo Messico, sistemazione messa a disposizione del poeta dalla vedova dello scrittore D.H. Lawrence. Spender rimase britannico imperturbabile, nonostante alla guida di una Buick si alternassero Bernstein e il fratello fra forature e sbandate e canti a squarciagola (si trattava del Peter Grimes di Britten di cui Lenny aveva eseguito nel 1946 la prima americana a Tanglewood). Ma la vita in semi-isolamento di un uomo simile durò solo una settimana e la sinfonia fu completata fra un estenuante tour di concerti con la Pittsburgh Symphony e il soggiorno di due mesi nella Palestina sconvolta dalla guerra d’indipendenza.
Bernstein, da sempre sostenitore entusiasta dello stato di Israele, diresse addirittura a Beersheba, città appena occupata dagli ebrei, in aperta sfida alle risoluzioni delle Nazioni Unite. In una lettera da Tel Aviv a Koussevitsky, dopo la performance di pianista e direttore scriveva: “Non si può immaginare un esercito più intelligente, colto e amante della musica (…). Credimi, finirà bene: c’è troppa fede, troppo spirito”.
E proprio della difficile ricerca della fede tratta la lunga egloga di Auden. Alla fine, confessa il compositore, due personaggi “ammettono di riconoscere la fede – e anche di sottomettersi passivamente – confessando la loro impotenza a collegarla con la vita di tutti i giorni, a meno di una cieca accettazione”.
Dopo la prima a Boston, The Age of Anxiety fu ripresa nella stagione successiva dalla Filarmonica di New York (Bernstein direttore con Lukas Foss al piano) e portata sulle scene del New York City Ballet dal coreografo Jerome Robbins (20 febbraio 1950). Il Finale della sinfonia non aveva però soddisfatto il compositore: il pianoforte rimaneva in silenzio fino all’ultima battuta, dove suonava un solo accordo per simboleggiare la ritrovata unità fra l’uomo e Dio. Nel 1965 rifece il movimento aggiungendo al pianoforte “un’ultima ed esplosiva cadenza”.
Giovanni Gavazzeni
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