2020_05_11 Teatro Radiofonico, come era visto nel 1949

Breve storia del teatro radiofonico
tratto da Radiocorriere Tv anno 1949
(scansionato e trascritto da Mario Mainino)
Dalla "febbre del suono" alla "ricerca degli spazi", il teatro radiofonico ha fatto in 25 anni le sue esperienze. Ora cammina spedito e sicuro.

Premesse

Dopo quasi un quarto  di secolo di ricerche, di tentativi, di affermazioni, dopo il lancio di un cospicuo numero di manifesti programmatici, dopo la complicata elaborazione  di  canoni  estetici  e  di teorie stilistiche, capita ancora di sentire discutere  —  e  sovente  in  ambienti molto vicini alla radio — prò e contro il radiodramma, prò e conto cioè ad un teatro scritto e concepito esclusivamente per la radio. 
Il  teatro  è  teatro  —  dichiarano gli uni — e basta. 
Lo si faccia sul palcoscenico, su una piazza o davanti al microfono. 
Variano i mezzi tecnici,  gli  apparati,  ma  immutata  rimane la sostanza eterna del teatro: il dialogo, la parola. 
In favore di questa tesi si è scovato un passo di Aristotele che da duemila anni a questa parte entra di diritto in ogni polemica di carattere estetico:
Nella tragedia la paura e la pietà possono sorgere come effetto dello spettacolo scenico, ma possono anche derivare dall'intimo  intreccio  delle azioni, procedimento questo da preferire e solo degno di vero  poeta. Perché la favola tragica deve essere istruita in  modo che anche  senza vedere al solo udire i fatti accaduti, si trepidi, si provi pietà per il modo in cui si svolgono”. 
Gli esegeti d'una pura estetica radiofonica non disarmano e validamente sostengono la necessità che la radio crei un suo inconfondibile teatro, costruito e concepito con le sue lontanissime da quelle del palcoscenico e continuano a negare ogni possibilità  di  conciliazione  tra  il teatro e  il  microfono.

Nuovi nomi

Si suggeriscono anche nomi nuovi per definire la nuova arte e non si ha paura di costruire bruttissime parole come cinematofonia  e  cinematofonemi.
Tutto questo in teoria. In pratica cosa avvenne, che cosa avviene?
Per comprenderci meglio, facciamo, rapida sintesi, una cronistoria del radioteatro,   dalla   nascita   ai  giorni nostri.

Cronistoria del radioteatro

Quando le antenne cominciarono a diffondere  magicamente   per  l'etere I prime onde sonore e il misterioso altoparlante riempì la casa  di  suoni i voci e di scrosci il radioteatro si affacciò al microfono nella sua forma schematica.  
Si  chiamava  allora conversazione  sonorizzata.  
Il   conferenziere   radiofonico   descriveva   un bosco,   e   il   sonorizzatore,   facendo frusciare alcune foglie secche, creava stormire   annoso   delle  piante,   il murmure   della   foresta.   Si   parlava del mare  e  il  sonorizzatore  attento rimboccava  le  maniche e,  sciaquandosi  le  mani   in   una   bacinella avvicinata   al   microfono,   dava   vita allo sciabordio delle onde, alle spume leggere   che   s'infrangono   sugli scogli, e ai marosi infuriati. L'oratore diceva usignolo, ed ecco il cinguettio d'un usignolo  gigante; automobile, e un motore ruggiva disperatamente; vento, e un ventilatore soffiava come Eolo.
Bisognava stare attenti, perché se si fosse pronunciata parola  polvere  da  sparo   o   dinamite, nel loro entusiasmo, i pionieri della sonorizzazione, in tutti i paesi del mondo, non  avrebbero esitato  a crollare la cabina di trasmissione per rendere con efficacia un magnifico scoppio.

Commedia radiofonica

Dalla conversazione e dal dialogo sonorizzati alla vera e propria commedia radiofonica il passo è breve.
Fu, per alcuni anni, una vera orgia di suoni e di rumori. I primi canovacci di commedie radiofoniche non furono che un pretesto per intessere dei sorprendenti sfondi sonori: treni, giostre, corse di automobili, viaggi in stratosfera, burrasche, ruggito di belve, battaglie.
Era stato donato agli uomini un nuovo giocattolo, essi si divertivano rumorosamente.
Da noi, Alessandro De Stefani, Luigi Chiarelli e Marinetti e Giannini e Menzio e Marchi, Pessina, parecchi altri scrissero le prime commedie radiofoniche sotto l'influenza di questo clima sonoro. Ci incominciarono anche ad adattare, con questi concetti, commedie del normale repertorio teatrale. Le maestrine della provincia volevano sentire La partita a scacchi? Benissimo! Il vento urlava come un dannato nel medioevale maniero valdostano del conte di Fombrone, il ceppo nel camino crepitava come un incendio e Paggio Fernando e Iolanda, spostando i pezzi della scacchiera, facevano almeno il rumore d'una partita a polo.
Quanto durò questa fase sperimentale, che chiameremo, per intenderci, della «febbre del suono»? Parecchi anni, ma perdendo via via di virulenza.
S'incominciava a capire che anche alla radio la parola deve regnare sovrana, che il suono, lo sfondo sonoro, hanno al microfono un compito utilissimo di suggestione se contenuti nei limiti d'una semplice didascalia.
Al periodo della febbre del suono succede quello che vogliono chiamare della ricerca degli spazi. Il microfono divenne irrequietissimo, fu colto da una vera frenesia del movimento. 
In una commedia radiofonica, nel giro di pochi istanti, il microfono si spostava dalla strada al salotto, dal giardino al fiume, dalla vetta di montagna alla periferia d'una grande città, volava in cielo, scendeva sotto terra. 
Lo scrittore di drammi radiofonici, libero infine dalle strettoie della scena fissa, della ribalta, dei fondali e delle quinte, si ubriacava di spazio.
Il microfono poteva andare dappertutto; in paradiso e all'inferno; non bisognava lasciarlo fermo neppure per un istante. Dissolvenze rapidissime, piani sonori incrociati con tecnica cinematografica, stacchi bruschi. Un dialogo d'amore incominciato in autobus, proseguiva in ascensore, si concludeva in chiesa.
Errore anche questo, perchè se è vero che il microfono non pone limiti alla fantasia dello scrittore, è altrettanto vero che non ugualmente agile è l'attenzione dell'ascoltatore
Lo spettatore radiofonico deve essere più attento
Colui che ascolta si stacca con fatica dall'atmosfera che la sua fantasia ha creato, sui suggerimenti del dialogo e dello sfondo sonoro, per una determinata scena.
Il dramma radiofonico richiede dall'ascoltatore una collaborazione intensa, molto più grande di quella necessaria allo spettatore d'un teatro o d'un cinematografo. 
Ho scritto altra volta che quasi quasi fa più fatica l'ascoltatore a costruirsi nella sua fantasia un ambiente dove collocare i suoi personaggi, che il macchinista di teatro a far ruotare i lubrificati congegni del suo palcoscenico girevole.
Non è che si voglia condannare il microfono ad una assurda staticità, che si voglia creare anche per la radio ridicole unità di tempo, di luogo e d'azione
Fascino grande della radio è proprio la sua sconfinata libertà, ma anche per il teatro radiofonico vigono leggi di armonia, di chiarezza, di proporzione che non possono assolutamente essere abolite. E infatti, scrittori che da anni dedicano la loro attività al teatro radiofonico sempre più attenuano ogni virtuosismo tecnico, ogni bravura stilistica, ogni fantasioso arbitrio, per creare invece limpide e suggestive sequenze.
Possiamo dire — con tranquilla sicurezza — che il radiodramma è ormai uscito dalla fase sperimentale e ha raggiunto una sua precisa e netta fisionomia.
Valenti e noti scrittori ed autori, specie tra i giovani, che sono sempre i più sensibili a comprendere e far loro, anche in campo artistico, le possibilità offerte da una nuova tecnica, si dedicano con appassionata fervore alla stesura del copione radiofonico.
Già nel passato parecchi radiodrammi italiani sono stati ritrasmessi dalle principali organizzazioni radiofoniche straniere, ma oggi la nostra produzione è seguita con il più grande interesse e tradotta in tutto il mondo.
La ristrettezza dello spazio ci impedisce di parlare particolarmente del nutrito gruppo degli autori radiofonici del dopoguerra, ma i loro nomi sono ormai familiari alla gran massa dei nostri ascoltatori, che, dopo le inevitabili prime diffidenze, dimostra di interessarsi, sempre di più al nuovo genere drammatico nato dalla radio e che soltanto nella radio trova i suoi mezzi d'espressione o di vita.

articolo di SERGIO PUGLIESE (1908-1965)


Trasmissioni drammatiche
tratto da Radiocorriere 1949 PAGINA 24/25

Impresa impossibile quella di offrire all'ascoltatore, in un breve  ciclo di  trasmissioni  radiofoniche, un panorama  esauriente  e compiuto, anche solo attraverso alle esemplificazioni  essenziali, del teatro cristiano  e cattolico attraverso ed tempi.
Il teatro nasce in forma mitica e religiosa e, col sorgere dei volgari dal ceppo latino, le prime forme spettacolari: traggono la loro ispirazione dal rito, religioso e liturgico.
Le laudi, le devozioni in Italia, le Moralités, i Mystères, i Miracles in Franca, i Miracles pìays e i Pageants in Inghilterra, gli oratori e le Sacre rappresentazioni in Germania appaiono prima in forma imperfetta e rudimentale poi, con un seguito di interesse popolare che a volte apparirà perfino eccessivo, vengono perfezionandosi ed assumendo unità e valore d'arte incontrastati. 
Così via via fino a giungere alla grande fioritura spagnola del XVII secolo con i Lope de Vega, i Calderon de la Barca, i Tirso da Molina, per proseguire, fiume perenne, fino alle attuali vive e battagliere manifestazioni del teatro cattolico contemporaneo. 
Si può dire che ben pochi siamo i grandi scrittori di teatro che — anche se lontani dal militare nelle file del pensiero cattolico — non abbiano dedicato una delle loro opere più significative ad un tema religioso, ispirandosi alla figura d'un santo o a un episodio della storia della Chiesa, o a un problema di coscienza esaminato e risolto con spirito cristiano.
Da Corneille a Racine, da Alfieri a Manzoni, da Schiller a Goethe, da D'Annunzio (Martirio di San Sebastiano) a Mauriac, da G. B. Shaw a O'Neill fino a scendere ai minori. 
Anche il teatro esistenzialista, la più disperata pessimistica corrente teatrale dei nostri tempi, ha un filone — e non dei minori — che si è volto verso lo spirito religioso e nei dogmi e nei canoni della Chiesa ha trovato la soluzione ai problemi della vita e delle morte che gli esistenzialisti vanno angosciosamente cercando.
Questo teatro ha per massimo esponente lo scrittore Gabriel Marcel  (Parigi, 7 dicembre 1889 – Parigi, 8 ottobre 1973) è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo e critico di musica francese), che ha dato al teatro parecchie opere drammatiche, amare, disperate, ma illuminate tutte da una mistica speranza.
Nell'impossibilità quindi di presentare ai nostri ascoltatori un piano organico e cronologico di opere teatrali ispirate dalla fede cattolica, ci siamo limitati a raggruppare le esecuzioni in due cicli.
Il primo presente con il titolo: Quattro: drammi della cristianità, quattro opere teatrali dei secoli passati: La leggenda di Rosana di Anonimo del XV secolo; L'Anno Santo di Roma di Calderon de La Barca; Atalia di Racine e Adelchi di Manzoni. 
Due sono i criteri che ci hanno guidati nella scelta. 
In primo luogo tracciare — con quattro esemplificazioni di opere particolarmente significative — un grande arco che dalla Sacra rappresentazione medioevale conduca alle soglie del nostro tempo.
In secondo luogo, tra l'immensa foresta del teatro cattolico presentare quelle opere drammatiche particolarmente adatte, non solo a celebrare il Giubileo della Chiesa [1950] che ricorre quest'anno, ma anche.ad una esecuzione ed interpretazione radiofonica.
Il secondo Ciclo è invece completamente dedicato al teatro cattolico contemporaneo e allinea opere di Eliot, di Claudel, di O'Neill, di Charles Péguy e di Pea, prescelte, con gli stessi principi.
Si passerà così dal fervido candore dell'anonimo quattrocentesco si fasti barocchi dell'autosacramentales di Calderon, scritto per il Giubileo del 1650. L'Atalia, ultima opera e capolavoro di Racine, che lo scettico e ateo Voltaire definiva:  « L'opera più prossima alla perfezione che sia mai uscita dalla mano degli uomini », precederà la romantica e nobile tragedia del Manzoni ispirata all'ultimo Re dei Longobardi, Adelchi, forte e sfortunato erede della gloria di Desiderio e alla forte e mistica Giovanna di Charles Péguy succederà l'ascetica figura dell'Arcivescovo di Canterbury dell'Eliot, l'appassionata Violaine di Claudel e la viva folla delle Sacra Rappresentazione del Enrico Pea.

Voci alte e solenni, personaggi presenti nella coscienza d'ognuno, messaggio poetico dettato da una fede, vivo e attraverso ai tempi, presente oggi come ieri, fenomeno tanto vasto e importante che davvero, vien da chiedersi — con Eliot — se il teatro e la Religione siano l'uno dall'altro, separabili, nella grande tradizione letteraria.



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