Associazione Culturale La Cappella Musicale
Milano Arte Musica
XII edizione 2018
Milano Arte Musica
XII edizione 2018
Direzione Artistica Maurizio Salerno
Per informazioni:
Associazione Culturale La Cappella Musicale
Via Vincenzo Bellini 2, 20122 Milano
Tel / fax 02.76317176
e-mail lacappellamusicale@libero.it
sito www.lacappellamusicale.com
Milano Arte Musica programma XII edizione 2018
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Via Vincenzo Bellini 2, 20122 Milano
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Milano Arte Musica programma XII edizione 2018
Giovedì 28 giugno 2018, ore 20.00
Basilica di Santa Maria della Passione
via Conservatorio 16, Milano
G. B. Pergolesi: Stabat Mater
Sandrine Piau, soprano
Christopher Lowrey, contralto
Les Talens Lyriques
Christophe Rousset, direzione
PROGRAMMA
Leonardo Leo(1694-1744)
Beatus vir qui timet
per contralto, violini e basso continuo
Nicola Porpora (1686-1768)
Salve Regina in sol maggiore
per soprano, violini e basso continuo
Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736)
Stabat Mater
per soprano, contralto, violini e basso continuo
Giovedì 28 giugno alle ore 20.00 presso la Basilica di Santa Maria della Passione, si chiude il trittico di concerti proposti da Christophe Rousset e da Les Talens Lyriques, che insieme al soprano Sandrine Piau e al contralto Christopher Lowrey, proporranno un programma incentrato su brani musicali ispirati dalla devozione mariana: Beauts vir di Leonardo Leo, Salve regina di Nicola Porpora e lo Stabat Mater di G. B. Pergolesi, in cui il compositore abbandona decisamente la ridondanza e la complessità della scrittura barocca, portando al massimo sviluppo quella ricerca di chiarezza armonica che aveva caratterizzato le sue opere teatrali.
«Corri, vola a Napoli, ad ascoltare i capolavori di Leo, di Durante, di Jommelli, di Pergolesi», scriveva Jean-Jacques Rosseau alla voce «Genio» del Dizionario di musica uscito a Parigi nel 1768, perpetuando il mito d’una città che già vent’anni prima il presidente del Parlamento di Borgogna Charles de Brosses aveva proclamato «la capitale del mondo musicale». Esattamente questa esperienza propone il concerto di questa sera, che segue pressoché alla lettera la lista proposta dal philosophe ginevrino al compositore in erba desideroso di mettersi alla prova, sostituendone due nomi con quello dell’antesignano dello stile galante, Nicola Porpora, che avremo modo di riascoltare fra meno d’un mese in questa rassegna. Lo sguardo sulla Napoli del primo Settecento (sul secondo quarto del secolo, più precisamente) si concentra su un’unica angolatura, tra le più significative e ricche di esiti estetici altissimi, la musica da chiesa, e, all’interno di questo ambito, nella sua particolare declinazione secondo lo stile moderno. Perfetto corrispettivo devozionale della rappresentazione degli affetti profani messi in scena dal teatro d’opera, il nuovo stile fa leva sul fascino della voce solistica – analogamente alle Leçons des Ténèbres francesi ma sotto tutt’altro cielo estetico, nonostante la relativa modestia dello scarto cronologico –, in particolare di quel registro femminile, teso tra lirismo e agilità, carissimo al gusto del secolo. Alla devozione barocca subentra così un’esperienza individuale e soggettiva del sentimento religioso, che rispetto al rigore razionale del severo stylus antiquus privilegia la via d’una comunicazione più diretta e sentimentale: una rilettura “affettuosa” del sacro, analoga ai modi pittorici d’un Solimena o di un Tiepolo, che si traduce nella semplificazione del linguaggio musicale, dal piano armonico alla costruzione delle melodie per brevi incisi, spesso pregnanti e memorabili, al perfetto adeguamento del ductus melodico alla prosodia dei testi latini, in un’invenzione, insomma, d’infallibile grazia e freschezza. Di questo ideale di musica sacra incontriamo questa sera tre campioni, impegnati nell’intonazione di altrettanti testi centrali negli usi liturgici cattolici: il salmo vespertino CXII Beatus vir e due testi di devozione mariana, l’antifona Salve Regina, impiegata per il tratto più lungo dell’anno liturgico, dalla domenica della Trinità alla I d’Avvento, e lo Stabat Mater, sequenza tardomedievale introdotta ufficialmente nel 1727 nel Messale romano. Leonardo Leo fu per trent’anni figura centrale del mondo musicale napoletano. Operista di vaglia, dal successo nazionale e internazionale, sia nel serio che nel comico, primo maestro di due dei quattro conservatori, detentore progressivamente di tutte le cariche della Cappella prima vicereale e poi reale, autore di squisita musica strumentale, Leo rappresenta la quintessenza della produzione musicale nella Napoli del primo Settecento, terminato di fatto con la sua morte, che lo colse appena cinquantenne nel 1744, due giorni dopo aver celebrato con un solenne Te Deum la vittoria di Carlo di Borbone a Velletri. Alla musica da chiesa, tanto sul versante moderno qui rappresentato, quanto su quello dello stile antico, Leo offrì un apporto imponente per quantità e qualità, la cui eco raggiunse sia Verdi che Wagner e che contribuì non poco a recepirlo come uno dei capiscuola della civiltà musicale napoletana del Settecento. Non meno talento esprime la figura di Nicola Porpora, che si muove su un palcoscenico più internazionale: «Persona nota a tutta l’Europa», lo definirà a ragione Metastasio, di casa a Londra, a Vienna, a Dresda, attraverso i propri lavori ma anche con i propri allievi di canto, tra cui i leggendari Farinelli e Caffarelli. Tanta perizia nelle potenzialità della voce umana è messa al servizio d’una produzione chiesastica in gran parte dedicata a tre dei quattro ospedali veneziani di cui Porpora fu maestro di coro – la carica più alta e prestigiosa – a più riprese per vent’anni, tra il 1726 e il 1747.
Non mette conto presentare Giovanni Battista, d’una generazione più giovane dei colleghi, ma percepito già alla fine del Settecento, per prendere in prestito le parole di Charles Burney, come il «principale perfezionatore d’uno stile di composizione, sia per la chiesa per il teatro, che è stato costantemente praticato dai suoi successori, e che, a mezzo secolo dal breve periodo in cui [Pergolesi] fiorì, regna ancora in tutta Europa». La rivelazione folgorante d’un modello paradigmatico di espressione musicale del sacro s’incarnò per i contemporanei innanzitutto nello Stabat Mater, forse commissionato nel 1734 dai cavalieri dell’Arciconfraternita della Beata Vergine dei Dolori per rimpiazzare lo Stabat di Alessandro Scarlatti, dal medesimo organico vocale e strumentale, eseguito da vent’anni nella Chiesa di San Luigi di Palazzo tutti i venerdì di marzo, se non già concepito originariamente per la Congregazione de’ Musici, cui Pergolesi apparteneva. Scritto plausibilmente tra il 1735 e il ’36, ultimo anno di vita del musicista appena ventiseienne, questo “duetto spirituale”, dall’intimo spirito cameristico, sviluppa ordinatamente, nell’alternanza di cinque arie e sette duetti, le venti strofe della sequenza, inanellando la serie di variazioni ossessive sulla scena della Mater dolorosa sotto la Croce con un’intensità emotiva che indusse perfino il Bach della piena maturità a rielaborarne la partitura.
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