Anni '80 Rodolfo Celletti Storia di registri e di ruoli vocali nell'opera: FALSETTISTI

STORIA DI REGISTRI E DI RUOLI VOCALI NELL'OPERA
di Rodolfo Celletti
È una richiesta che m'è stata rivolta da diversi lettori e da tempo immemorabile o giù di lì. Un tema da svolgere a puntate, ovviamente, e vengo subito al fatto.

1°) Falsettisti artificiali (oggi Contratenori)
Risalgono al XIII secolo. Trovarono posto nel canto sacro, a causa del divieto alle donne di esibirsi nelle chiese. Imitano artificialmente il suono bianco della voce femminile, usando prevalentemente l'emissione detta di testa. Si dividono in soprani e contralti. Rarissimo l'uso del termine di mezzosoprano negli antichi testi. Il termine di soprano è preceduto, nel Mottetto, da quelli di: Discantus, Triplum, Cantus e, finalmente, Superius. Nel periodo polifonico il soprano artificiale è la voce virtuosistica per eccellenza.
Resta tale anche nella seconda metà del Cinquecento, con l'introduzione del madrigale profano e delle prime forme monodiche. Il termine di contralto deriva, alla lontana, da quello di contratenor, che risale al madrigale del Trecento. Circa due secoli dopo, abbiamo uno sdoppiamento in contratenor altus e contratenor bassus.
Il Contratenor altus è poi abbreviato in contralto. I falsettisti artificiali furono soppiantati dai castrati, nelle cappelle principesche e delle grandi chiese, tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, per taluni difetti connessi al loro tipo di emissione: in particolare il suono spesso stridulo degli acuti e esile al centro. Il loro impiego, sotto il nome di Contratenori, in opere del Sei/Settecento per sostenere parti scritte per castrati, è fatto dell'ultimo ventennio del nostro secolo. Ha incontrato un certo successo, in teatro e in disco, soprattutto in America e in Inghilterra. Storicamente questo uso è improprio, sia perché mai, nel Sei/Settecento, i falsettisti artificiali parteciparono a spettacoli operistici, sia perché, quando i castrati vennero a mancare (primo ventennio dell'Ottocento) a sostituirli in alcune parti per essi scritte furono chiamati dei contralti donne. Esempio: Giuditta Pasta come Armando d'Orville del Crociato in Egitto di Meyerbeer.
Legittimo è invece l'uso dei contratenori nelle musiche polifoniche, nel madrigale monodico e in parti specificamente composte per falsettisti artificiali da compositori moderni (Oberon in A Midsummer Night's ream di Britten). Nondimeno, l'impiego dei contratenori in opere del Sei/Settecento o largamente preferibile all'abitudine, invalsa nelle rare riesumazioni degli anni Trenta e sopravvissuta fino a una quindicina di anni fa, di sostituire i castrati con tenori o con baritoni. Mi si concederà che quando la Scala, nel 1953, diede L'Incoronazione di Poppea con il tenore Renato Gavarini come Nerone e il baritono Rolando Panerai come Ottone, per replicarla poi nel 1967 ancora con il Gavarini (e poi Giuseppe Di Stefano) e con il baritono Alberto Rinaldi nella parte di Ottone, raggiunse il colmo del ridicolo. Ma tutto questo lo si faceva perché, imperversando ancora la storiografia e la critica di parte idealista, bisognava adeguarsi alle sante norme del dramma musicale. Niente è più nefasto dell'italiano che scimmiotta i tedeschi. Anche in musica. Tra i contratenori da me ascoltati (per lo più in disco) attribuisco senz'altro il primo posto a Russel Oberlin per dolcezza, uguaglianza, levigatezza, attitudini virtuosistiche, espressività. Questo, aggiungerò, è anche il parere di Marilyn Horne. Dopo Oberlin, il migliore è forse Paul Esswood, sebbene un poco esile e scarsamente espressivo, mentre piuttosto mediocre mi sembra James Bowmann. Il tanto celebrato Alfred Deller — per altro eccellente musicista — aveva voce chioccia, stridula, dura e limitata espressività sotto il profilo dell'interpretazione teatrale. 

2°) Falsetti naturali o castrati
L'uso della castrazione — più propriamente orchiectomia — fu importato dall'Oriente tramite la Spagna. I primi castrati giunti in Italia furono appunto spagnoli: Francisco Solo, che entrò nella Cappella Pontificia nel 1562 e Hernando Bustamente, che intorno al 1580 era al servizio della corte di Ferrara.
L'operazione arrestava la crescita della laringe prima della «muta» e cioè prima che la voce del ragazzo assumesse i caratteri della voce adulta per l'abbassamento dei suoni di un ottava.
II medico italiano Romolo Gazzani, che ha svolto ricerche sull'orchiectomia, ritiene che essa consistesse nella legatura del funicolo testicolare, ma non esclude che a volte si procedesse addirittura all'esportazione dei testicoli. Lo scopo da raggiungere, comunque, era l'atrofia lenta e progressiva del testicolo per impedire la secrezione del testorene, ormone al quale si devono fenomeni come la crescita della laringe (con conseguente abbassamento di un'ottava della voce), la crescita della barba e simili. L'orchiectomia toglieva ai castrati la facoltà di procreare, ma non l'amplesso. Infatti il liquido germinale è secreto dalla prostata, mentre i testicoli secernono gli spermatozoi. Quindi permanevano tutti i piacevoli effetti, dovuti alla secrezione del liquido germinale, ma l'assenza di spermatozoi precludeva la possibilità di generare. La mancanza del testorene poteva però determinare invecchiamento precoce, prematuro affievolimento dell'erezione del membro e anche accentuate forme di malinconia senile in soggetti ancora relativamente giovani.
Per effetto dell'orchiectomia, la voce rimaneva brillante, fresca e penetrante come in quella dei ragazzi. Tra le manifestazioni secondarie, si aveva la comparsa di caratteri pseudofemminili (blocco della crescita della barba, come ho già accennato) e petto cosiddetto carenato, con un ampliamento della gabbia toracica che lasciava maggiore spazio allo sviluppo dei polmoni. Assoggettato a ferree ed assidue esercitazioni vocali, il ragazzo acquisiva in questo modo una capacità polmonare abnorme, con ripercussioni dirette sulla potenza del suono e sulla durata dei fiati, e indirette — ma anche queste propiziate da un severissimo sistema di studi — sulla duttilità, sulla morbidezza, sulla spontaneità del legato, sull'estensione e sull'agilità. Severo era anche lo studio; della musica (armonia, contrappunto, strumenti: sempre il clavicembalo, a volte anche organo, violino o viola). Naturalmente, non tutti i castrati arrivavano ad eccellere; i più anzi, s'arrestavano a parti di fianco o entravano nei cori delle chiese. Al vertice della piramide si avevano, tuttavia, cantanti d'una bravura irripetibile.
I castrati erano distinti in sopranisti e contraltisti, ma questo non comportava diversità di ruoli. Nell'uno e nell'altro caso competeva ai castrati la parte di eroe innamorato, mitologico o storicizzato o leggendario che fosse, e in taluni casi anche quella di antagonista, generalmente di rango pari al rango dell'amoroso. Una rassegna delle parti sostenute dai castrati annovera Orfeo, Giasone. Achille, Enea per giungere ai Romolo, Annibale. Scipione, Pompeo Magno, Silla, Giulio Cesare oppure ad eroi di poemi cavaliereschi — Orlando, Tancredi, Rinaldo — o figure storiche del medioevo (Totila. Bcrengario) e talvolta anche di epoche successive.
IlI concetto al quale s'improntava questo impiego dei castrati era quello che essi costituivano una casta vocale superiore per un insieme di ragioni in gran parte legate alla matrice barocca del melodramma italiano:
a) possesso d'un timbro raro, stilizzato, ai limiti dell'irrealtà e quindi congeniale a personaggi mitici;
b) possesso di qualità eccezionali (penetrante sonorità, abnorme durata di fiati, agilità virtuosistica, estro e dottrina nelle improvvisazioni) in grado di avvalorare anche sotto questo aspetto l'essenza mitica ed epicizzante del personaggio.
Si noti che una legge del melodramma belcantistico, non scritta, ma valida fino a Rossini, era questa: la «coloratura» e il virtuosismo in genere erano elementi di caratterizzazione sia di sentimenti e passioni espressi in una singola aria o in un singolo duetto, sia, su un piano più generale, del rango e dell'epicità del personaggio. Quanto più arduo era il virtuosismo, tanto più elevato era il tasso di soprannaturalità o regalità o epicità del personaggio;
c) possesso di altre qualità (duttilità, attitudine ad addolcire, smorzare ed assottigliare i suoni, fermezza e continuità di flusso respiratorio nel legato, leggiadria e levità nella fiorettatura) che assicuravano una perfetta esecuzione della melodia idilliaca, elegiaca, patetica (il cosiddetto stile «cantabile») o di carattere estatico-amoroso;
d) possesso d'una fantasia, in senso sia espressivo che virtuosistico, le cui invenzioni erano sollecitate da un completo dominio dello strumento voce non meno che dall'esperienza contrappuntistica.
Vanno attribuite ai castrati, direttamente o indirettamente: la divulgazione e il perfezionamento della tecnica di respirazione; gli effetti di «messa di voce» (attacco in pp., graduale rinforzamento, graduale ritorno al pp.,); l'uso spettacolare di certi tipi di trilli, come quelli cromatici eseguiti in successione e senza riprese di fiato in ascesa e in discesa (Baldassarre Ferri, metà Seicento); il suggerimento ai compositori del tardo Seicento e primo Settecento della grande aria tripartita, con tre cadenze diverse, mutamento di tonalità nella seconda sezione, variazioni dell'esecutore nella terza sezione o «da capo» ; lo sviluppo e la diffusione delle arie con strumento concertante e relativa competizione tra voce e strumento; l'introduzione, ai primi del Settecento, d'una fiorettatura minuziosa, con terzine, quartine, gruppetti, mordenti applicati alle singole sillabe d'ogni parola (Antonio Maria Bernacchi); l'introduzione, sempre ai primi del Settecento, di più ampie sonorità tanto nel recitativo, quanto in passi vocalizzati («agilità di bravura» o di forza: ancora Bernacchi e, subito dopo, il Farinelli e il Carestini).
Altro impiego dei castrati, sopranisti o contraltisi che fossero, era quello di impersonare l'amorosa, presentandosi in vesti femminili. Generalmente ciò avveniva dove era vietato alle donne di comparire in teatro: Stati della Chiesa, escluse Emilia e Romagna, nei secoli XVII e XVIII; Portogallo nel secolo XVIII. Per le parti femminili «in travesti» si sceglievano castrati giovanissimi ai quali, tra l'altro, certi tratti femminili assicuravano, sembra, molta credibilità. Per la storia, la prima Cecchina della Buona figliola di Piccinni (1760) fu un sopranista.
La mancanza di mezzosopranisti fu un fatto assai più nominale e di prestigio che reale. Il melodramma belcantista, tendendo all'astrazione, non ebbe mai bisogno delle precisazioni timbriche di cui, invece, avvertirono la necessità il romanticismo, il verismo e, in talune occasioni, Mozart. Ma soprattutto, le voci cosiddette intermedie (baritoni, mezzosoprano, mezzosopranista) erano considerate di rango inferiore e volgari, perché molto diffuse. All'atto pratico, tuttavia, e stando alla scrittura dei compositori del Seicento, le tessiture dei sopranisti non sono molto elevate, di solito, e anche l'estensione del registro acuto non oltrepassa, generalmente, il La 4.
In molti casi si potrebbe perciò parlare di mezzosopranisti, oggi sostituibili più con mezzosoprani acuti che con soprani. In compenso, è molto netto il divario timbrico e di tessitura con il contraltista, che è veramente una voce profondissima il cui canto si esaurisce in poco più di un'ottava, partendo in genere dal SOL 2 (sol grave). I primi esempi di tessitura profonda sono Arcetro dett'Euridice di Caccini e il protagonista dell'Orfeo di Monteverdi, ma altrettanto gravi sono alcuni contraltisti di Cavalli. Le tessiture restano molto profonde anche con operisti del tardo Seicento, del primissimo Settecento che, come Steffani, estendono la gamma acuta fino al mi in quarto spazio (MI 4).
Nel Settecento, Haendel e coevi alzano sensibilmente le tessiture dei contraltisti; ma contemporaneamente s'accentua nella seconda metà del Settecento e oltre. La parte di Arsace dell'Aureliano in Palmira scritta da Rossini per Velluti, che aveva iniziato la carriera come sopranista, è nominalmente di contraltista, ma corrisponde per tessitura e gamma d'estensione a quella d'un mezzosoprano attuale.
Nel suo periodo migliore (1720-1730), il Farinelli interpretava parti di contraltista profondo (impressionante la tessitura ideata per lui da Vinci in un'aria del Medo, in cui la voce scende al DO 2 e vocalizza di continuo sotto il rigo). Tuttavia, le tessiture delle parti scritte per lui da Porpora, che fu il suo maestro, fanno di solito pensare che il vero baricentro della voce fosse la zona del mezzosoprano. Questo problema tornerà a porsi, all'inizio dell'Ottocento, per cantanti come la Grassini, la Colbrand, la Pasta, la Malibran, definite contralti in partenza, divenute poi soprani, ma di fatto mezzosoprani non qualificali come tali per questioni di etichetta. Nessuna divisione in sottoclassi, fra i castrati, salvo quelle indicate dalle gerarchie teatrali. Il castrato, spesso denominato musico, era «prima uomo» o «secondo uomo», se di modesto rango o principiante. Niente castrati di grazia o di forza o di agilità oppure lirici e drammatici. Ovviamente, c'era chi eccelleva in espressività, chi nel virtuosismo, ma i castrati erano tenuti a eseguire tutti gli stili. Raramente — e ciò accadde comunque soltanto nel melodramma barocco dell'ultimo Seicento — i castrati sostennero parti comiche. Anche nell'opera giocosa del Settecento la loro presenza fu sporadica, e limitata alle cosiddette «parti serie».
Castrati storici: Girolamo Rosini, sopranista, la cui soavità ed uguaglianza di suono e di fraseggio estromise dalle cappelle romane i falsettisti artificiali (primo Seicento); Loreto Vettori, sopranista e compositore, stile espressivo e virtuosistico (prima metà Seicento); Baldassarre Ferri, sopranista, il primo castrato in cui la tecnica vocale e i doni naturali, fondendosi e integrandosi, fanno gridare al fenomeno (metà Seicento); Francesco Grossi, detto Siface, sopranista prima, quindi contraltista: stile patetico (fine Seicento); Matteo Sassani. detto Matteuccio, sopranista, stile patetico e stile brillante( fine Seicento); Nicolò Grimaldi, detto il cavalier Nicolino, contraltista, stile aulico ed espressivo, primo castrato idolo della Londra Haendeliana; Francesco Bernardi, detto il Senesino. contraltista. successore del Grimaldi a Londra come amoroso ed eroe haendeliano, stile aulico ed espressivo; Antonio Bernacchi, contraltista e didatta, stile patetico, stile di grazia, virtuosismo di forza (prima metà Settecento); Carlo Broschi, detto il Farinelli o il Farine! lo, il maggior cantante mai esistito, stando ai testi per lui composti e alle cronache del suo tempo.
Valido in tutti gli stili (prima metà Settecento) Giovanni Carestini detto il Cusanino, prima sopranista, quindi contraltista, virtuoso ed espressivo. Forse il maggior castrato della storia dopo il Farinelli, al quale fu contrapposto da Haendel (prima metà Settecento); Gaetano Majorana o Majorano, detto il Caffarelli, sopranista, stile brillante e virtuosistico, con eccessi (metà Settecento); Giuseppe Appiani, contraltista, stile virtuosistico e stile espressivo (metà Settecento'); Gioacchino Conti, detto il Gizziello, sopranista, stile espressivo, eccellenza nei cantabili (metà Settecento); Gaetano Guadagni, contraltista, stile semplice ed espressivo, erede del Gizziello (seconda metà Settecento); Giovanni Manzoli, sopranista, stile elegiaco ed espressivo (seconda metà Settecento); Giuseppe Aprile, contraltista, stile patetico e stile virtuosistico (seconda metà Settecento). Tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento emergono: Luigi Machesi, sopranista, stile brillante-rococò; Gaspare Pacchierotti, sopranista, stile patetico, espressione protoromantica; Gerolamo Crescentini, sopranista, stile elegiaco-patetico; Giovanni Battista Velluti, sopranista, poi contraltista, stile elegiaco, stile virtuosistico.

Articolo di Rodolfo Celletti [manca riferimento all’anno di pubblicazione e su che testata]

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