1985_11_03 Il compositore non è un impiegato

L'ESPRESSO - 3 NOVEMBRE 1985 - pagina 193
MA IL MUSICISTA NON E UN IMPIEGATO
di Fedele D'Amico
Al Convegno su «La condizione del compositore (sottinteso "serio") oggi», promosso dal Comitato italiano dell'anno Europeo della Musica in collaborazione con la Rai e tenutosi a Roma in Campidoglio dal 10 al 12 ottobre 1985, purtroppo non ho potuto assistere che per qualche ora. 
Ma almeno uno spunto posso cavare da un suo endemico presupposto evidente, anche se non so se rimasto incontrastato.
E il presupposto è questo: che il compositore di musica "seria" detenga per nascita il diritto di vedersi eseguito, e anzi di trarre da questa attività tanto da vivere, alcuni addirittura precisando: a livello di sicurezza. 
Sì che dovere della vita musicale sarebbe di riserbargli nei programmi e cartelloni un posto adeguato allo scopo: a spese, evidentemente, dei compositori defunti, i quali da un lato non possono più prometterci quel "nuovo" cui il nostro tempo anela, dall'altro ai mezzi di sussistenza materiale hanno rinunciato.
Con questo il compositore è assimilato all'impiegato, all'avvocato, al metalmeccanico, al medico, allo scienziato: insomma a chi esercita attività socialmente utili, o indispensabili, tanto che  esclusivamente nel proprio interesse la società si preoccupa di educarli, e da cui essenzialmente richiede capacità professionale. 
Tanto meglio poi se costoro offriranno talento, estro, inventiva; ma se ne difetteranno, non per questo potremo rinunciare a loro. 
Non per il fatto che i clinici insigni sono relativamente pochi il paesello dovrà fare a meno d'un medico; e a soddisfare la domanda edilizia non si potranno chiamare soltanto architetti di genio (l'opera dei quali, d'altronde, nascerà anch'essa a quel fine); e anche del pittorucolo ci sarà bisogno, perché alle pareti bisognerà pure appendere qualcosa e i cosiddetti quadri d'autore non basteranno.
Invece la musica di cui stiamo parlando non serve socialmente a niente. 
Certo, oggetto di domanda è la cosiddetta musica d'uso, o comunque "applicata" il commento musicale del film, la musica di scena, quella da ballo e simili
Non però l'altra, destinata al concerto o al teatro d'opera e detta musica d'arte, perché della sua nascita come arte applicata, ai suoi tempi immancabile, noi abbiamo perduto il sentimento del tutto: anche quando ascoltiamo quella del passato, storicamente nata a quel titolo. 
Solo l'eventuale circostanza che una data musica ci appassioni o interessi o semplicemente diverta, che insomma ci offra un nutrimento, ce la fa accettare e, una volta accettata, desiderare: risultato al quale allora occorrerà la presenza, nel compositore, di doti propriamente creative; e tanto più prepotenti in quanto dalla musica ci si attende che dia un ordine alla nostra affettività, impresa difficilmente realizzabile, nel terroristico disordine morale del mondo attuale, se non per via di ardue dialettiche. 
Comunque, lontani sono i tempi in cui, nel monopolio dell'arte applicata, a legittimare il compositore il mestiere bastava: oggi si chiede il talento, possibilmente spiccato assai.
Un bel guaio. 
Fortuna che committente non è più il principe, né il pubblico; ma la Cultura
La quale con lo Stato assistenziale, nonostante screzi passeggeri, sa intrattenere rapporti eccellenti.

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