2013_04_21 Perosi ritorna a Trecate nella interpretazione del San Gregorio Magno

Domenica 21 aprile 2013_04_21 ore 15,30
Chiesa Parrocchiale S. Maria Assunta di Trecate (No)
LORENZO PEROSI (1872 - 1956)
Transitus Animae
( solista : Lucia Rizzi , organista Alberto Sala )
GABRIEL FAURE'
Requiem op. 48(solisti: Raffaella Menanno e George Andguladze , pianista Marinella Tarenghi )

Schola Cantorum San Gregorio Magno ( maestro del coro Mauro Rolfi )
Direttore M° Mauro Trombetta .
Ingresso libero

Il Transitus Animae, dedicato al fratello Marziano, nacque nel periodo più intenso dell'attività creatrice di Lorenzo Perosi. Nei primi di novembre del 1907 si annunziò la composizione di quest'opera che doveva inaugurare la Sala Pia ai Borghi in Roma, una specie del Salone Perosi di Milano.
Il Transitus non è propriamente un oratorio mancando dello "storico", ma è piuttosto una grande Cantata affidata ad un mezzosoprano (l'Anima) ed al coro con accompagnamento dell'orchestra.

Questi i passaggi fondamentali della Cantata. [a cura della Corale]

Prima l'Anima si piega in umile preghiera: "Miserere mei Domine... amplius lava me"; poi il coro pronuncia le prime voci che la Chiesa rivolge agli agonizzanti "Proficiscere anima cristiana" in un raccolto senso di speranza nella sua costruzione omofona. Alle parole "In nomine Spiritus Sancti" il coro si divide in sette parti terminando con i soli bassi profondi: "In pace". L'Anima quindi, sopra un vivo movimento dell'orchestra, riprende la sua intensa preghiera: "Averte faciem tuam a peccatis meis" e il coro la consola con le parole "Libera, Domine". Un accento ancora più drammatico assume la voce dell'Anima: "Ne projcias me a facie tua", mentre l'orchestra si agita con movimenti di terzine e quartine contrastanti e, ad un certo punto, si innalza una stupenda frase: "Miserere Domine, gemitum, lacrimarum ejus" ripresa da tutte le voci, questa volta in una alternanza di risposte, placantesi in un omofono: "Miserere Domine". L'ultima invocazione trepidante del mezzosoprano: "Libera me Domine de morte aeterna" è seguita dalle Litanie del coro: "Sancta Maria ... Sancte Joseph ... Sancte Laurenti ...". Quando l'Anima si abbandona alla volontà di Dio: "in manus Tua Domine, commendo spiritum meum", i soprani e i contralti intonano decisione e dolcezza una di quelle melodie chiaramente perosiane: "Maria, Mater Gratiae". Dopo una lenta discesa del clarinetto solo per cinque toni interi, il coro chiude la Cantata con il versetto liturgico: "In Paradisum deducant te Angeli", iniziando proprio col tema gregoriano magistralmente e genialmente elaborato in imitazione, prima a quattro voci, poi a cinque-sei voci, terminando con la ripresa del tema iniziale, dolcissimo nei soprani e infine con uno speranzoso e osannante "in Paradisum".

GABRIEL FAURE' - Requiem op. 48

«Ho scritto il mio Requiem senza motivo… per il piacere di farlo, se così posso dire. È stato eseguito alla Madeleine per le esequie di un parrocchiano qualunque». (In realtà erano esequie “di prima classe” per Monsieur Le Soufaché).
«Si è detto che quest’opera non esprime il terrore della morte; qualcuno l’ha chiamata una berceuse funebre. 
Eppure è così che io sento la morte: come una lieta liberazione, un’aspirazione alla felicità dell’aldilà e non un doloroso trapasso». «Può darsi che io abbia tentato di uscire dalle convenzioni, dopo tutti gli anni in cui ho accompagnato all’organo le funzioni funebri.  Ho voluto fare un’altra cosa».
Fauré era uno che usciva dalle convenzioni, così dichiarava, pur fra le maglie impegnative di un Requiem, rivelando con un candore disarmante la propria idea  della morte: un’idea semplice e discreta proprio come il suo Requiem è quieto e senza pathos, senza fragori. Nessuna impennata solenne o svolta drammatica, se 
non qualche rara increspatura minacciosa nel Dies Irae, dove – per così dire – ne corre l’obbligo. La pagina, costruita a più riprese tra il 1888 e il 1892, la cui origine per alcuni biografi è legata alla morte della madre, ha un aspetto patinato, arcaicizzante, velato d’una bellezza contemplativa. Come sarà risuonata nel 1893, 
alla prima esecuzione diretta dall’autore, nelle vaste navate della Madeleine di Parigi? E come, trent’anni dopo, durante le solenni esequie che gli furono tributate?
La vera linfa dell’opera era il pudore, non il dramma della morte. Tanto meno la celebrazione. Un pudore artistico che nella vita si rivelava davvero anticonvenzionale.
Nonostante le proteste dell’ala più conservatrice degli ambienti culturali parigini, Fauré otterrà la prestigiosa nomina di direttore del Conservatorio, e vi resterà in carica dal 1905 al 1920, toccando così i vertici ufficiali della cultura musicale francese. Da un musicista che ricopriva un tale ruolo ci si 
potevano aspettare pagine appartenenti ai grandi generi musicali come la sinfonia, il concerto, anche il melodramma, e naturalmente le grandi composizioni sacre sinfonico-corali. E invece lui evadeva tali aspettative producendo per lo più nel genere cameristico e in particolare eccellendo nelle chansons per voce e pianoforte  che tanto piacquero a Marcel Proust.
È musica che ci riporta al salotto letterario, che ci fa immaginare il raffinato cenacolo dei personaggi proustiani. È musica che riflette una certa idea del gusto francese fin de siècle. Che ci rimanda un ritratto di uomo raffinato, colto, sensibile, elegante, sagace, forse con l’intima consapevolezza di destinare la propria arte a un ristretto e selezionato gruppo di interlocutori. Proust gli scriveva, quasi scusandosi per non averlo 
elogiato a dovere: «Signore, non è che mi piaccia o ammiri o adori la vostra musica: semplicemente ne sono stato e ne sono tuttora innamorato. Sere fa mi sono inebriato con il Parfum impérissable. Pericolosa ebbrezza, poiché sono tornato ad ascoltare il pezzo tutti i giorni. […] Vi ho detto cento cose meno di quelle che avrei potuto – conosco la vostra opera abbastanza per scrivere un libro di trecento pagine – ma cento cose più di quelle che vi avrei detto se avessi seguito la mia timidezza. Avendo voi avuto la bizzarra idea ch’io fossi irritato, mi avete autorizzato a queste mie effusioni».
Il compositore che suscita “effusioni”, autore di musica raffinata e un po’ d’élite va incontro al tema “popolare” della morte con tono dimesso e con manifesto candore (forse prudenza?), cimentandosi in un genere che recava impronte di grande autorevolezza: da Mozart a Cherubini, da Brahms a Verdi, da Berlioz a Saint-Saëns. La scelta più opportuna di fronte a tali precedenti, e la più scaltra, fu quella di non rinunciare alla propria personalità e di immergersi con trasparenza nella composizione: questo testimoniano le sopra citate dichiarazioni dal tono un po’ naïf. Questo il punto, immediatamente evidente a chi ascolti un Requiem piuttosto irregolare, che chiude con una pagina tersa e felice, In Paradisum: il punto è la felicità oltre la morte. E questo senza tralasciare il fatto che Fauré era un agnostico.

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