2011_04_08 Traviata in arrivo al Coccia di Novara

Teatro Coccia
Venerdì 8 aprile 2011_04_08 ore 20.30
Domenica 10 aprile 2011_04_10 ore 16.00
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti 
su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Maestro Concertatore e Direttore Valerio Galli


Personaggi e Interpreti 
Violetta Valery ELENA ROSSI 
Flora Bervoix MONICA TAGLIASACCHI 
Annina  ALESSANDRA FERRARI 
Alfredo Germont SERGEJ ROMANOVSKY 
Giorgio Germont, suo padre  GIANFRANCO MONTRESOR 
Gastone, Visconte de Letorières  MARCO VOLERI 
Barone Douphol  DAVIDE ROCCA 
Marchese D’Obigny  LUCA LUDOVICI 
Dottor Grenvil  VEJO  TORCIGLIANI 
Giuseppe, servo di Violetta  MICHELE VISELLI 
Domestico di Flora  PIER MARCO VIÑAS MAZZOLENI  
Commissionario  GILLES ARMANI
Regia  

Paolo Bosisio, regista

Maestro del Coro Gianmario Cavallaro - Lighting Designer Jean Paul Carradori
Movimenti Coreografici Cristina Molteni
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro della Fondazione Teatro Coccia
Balletto di Milano
Produzione Fondazione Teatro Coccia di Novara
Info su : http://www.fondazioneteatrococcia.it/stagione011_operaeballetto_latraviata.asp



NOTE DI REGIA Traviata: un dramma sociale
Mettere in scena Traviata significa misurarsi con un melodramma caratterizzato da forti tinte drammatiche, la cui tradizione scenica è tale da comportare atteggiamenti per così dire preconcetti nel pubblico che, dallo spettacolo, si aspetta sempre e comunque una serie di puntuali e quasi rituali momenti di emozione legati ai passaggi musicali topici dell’opera. La tragedia di Violetta, “donna sola e abbandonata”, è, infatti, tradizionalmente letta come l’inevitabile conseguenza di un sacrificio dettato prevalentemente dal cuore, ossia dall’amore ch’ella, prostituta seppure d’alto bordo, per la prima volta proverebbe per Alfredo. 
Violetta vittima, dunque, ma soprattutto donna che ama e generosamente compie l’estremo gesto, rinunciando alla propria felicità e immolandosi per il bene della sorella dell’amato, la giovane “pura siccome un angelo”, che costituirebbe il perfetto contraltare alla “traviata”, e perciò indegna, amante di Alfredo. In tale contesto Germont appare tradizionalmente come un povero vecchio che si vede, suo malgrado e dolorosamente, costretto a intervenire per fare salva la reputazione della famiglia, compromessa dall’avventatezza sentimentale di Alfredo, per consentire nozze adeguate alla figlia, appunto “pura siccome un angelo” che è impensabile non difendere dal fango della corruzione. 
Senza alcuna pretesa di sovvertire la tradizione per sostituire a letture preconcette una non meno preconcetta interpretazione, mi è parso necessario cercare all’interno della materia sentimentale e a tratti anche un poco sentimentalistica, qualche ragione in più. Oltre che storia di sentimenti, di emozioni, di mondanità, Traviata mi sembra un dramma sociale, prima ancora che umano, e ciascuno dei personaggi pare inserirsi perfettamente all’interno di uno schema relazionale determinato appunto dalle norme del mondo ritratto, impossibile da mutare. I personaggi del dramma, prima forse che individui, sono ingranaggi di un meccanismo sociale consolidato all’interno del quale non c’è spazio per l’amore, per la compassione, per la salvezza.
In tale prospettiva (e nella mia lettura personale dell’opera), Germont diventa il personaggio chiave del dramma. Egli è il motore dell’azione drammatica che si sviluppa dalla sovrapposizione di esigenze di carattere sociale e mondano alla spontanea dialettica dei sentimenti. Egli incarna quell’urgenza di rispettabilità che è la spinta di ogni suo agire: non l’amore per la propria figlia, non la compassione per Violetta, ma la necessità tutta borghese di difendere la sua reputazione, la rispettabilità della sua famiglia e della classe sociale cui appartiene orgogliosamente, guidano la sua mano a tessere la trama drammatica della vicenda. Egli è un uomo ancora giovane, ancora inserito ‘nella vita’, attivo, egli stesso, forse, frequentatore abituale (e clandestino) di quelle prostitute che in società disprezza e non può certo accogliere nella vita della propria famiglia. Nel primo atto, lo si vede dunque entrare nella casa di Violetta, accogliere benevolmente e non senza compiacimento i complimenti di alcune giovani frequentatrici di quel salotto in cui è presente il bel mondo, in gran parte aristocratico, certamente meno preoccupato di far salve le apparenze rispetto ai borghesi che, come Germont appunto, si lasciano affascinare dal piacere in sé e dal gusto di imitare la classe superiore, senza possederne la congenita “sprezzatura”. 
Contraltare di Germont è il di lui figlio Alfredo, che a me pare come un giovanissimo, ingenuo giovanotto, affatto inesperto della vita nella quale è entrato con la facilità del denaro paterno e senza le avvedutezze che l’esperienza sola può assicurare: egli si innamora (o, chissà, crede di innamorarsi) perdutamente di Violetta, e senza curarsi della di lei poco presentabile attività professionale, o forse addirittura attratto inconsapevolmente dal desiderio di sottrarre una preda scontata dagli artigli dell’aristocrazia. Il suo è un amore sensuale e romantico, come spesso è quello dei giovani alle prime esperienze sentimentali
Appassionato e impulsivo come vuole la sua giovane età, egli cade vittima del fascino di Violetta, anch’ella giovane, (ma che, di contro alla fonte dumasiana, io vedo di qualche anno più adulta di lui) e soprattutto dotata di un’esperienza della vita e del mondo che la rendono disincantata e lucida. Violetta è una professionista che ha fatto dell’amore e del piacere sensuale un mestiere e che ha presto compreso la necessità, per salvaguardarsi, di tenere proprio l’amore e il piacere lontani dal suo io più profondo. 
Ella non è una donna “sola e abbandonata”, ma una professionista cinica, cui accade di essere incuriosita e infine contagiata dall’irrazionale amore giovanile di Alfredo, che la lascia incredula dinnanzi alla sincerità dei suoi sentimenti. E così, Violetta si trova a scegliere, per una volta, di credere nell’amore, di cedere al richiamo dei sensi, aprendo una breccia nel muro dietro il quale la sua razionalità l’ha confinata, decidendo di annullare lo iato che ella aveva posto tra se stessa e l’amore. 
Ma l’illusione ha vita breve e, quando Violetta si scontra con la realtà e accetta di sacrificare il suo amore su richiesta di Germont, non lo fa tanto per compassione verso di lui o verso la sua giovane figlia, quanto perché ricondotta bruscamente alla consapevolezza dell’ineluttabilità del suo destino e della necessità di portare fino alle estreme conseguenze la sua scelta di vita. Germont non la commuove con la storiella della figlia candida e pura, ma la riconduce crudamente alle regole del gioco: una prostituta ha compiuto una scelta di vita che la esclude definitivamente dalla società, con la quale può avere relazioni esclusivamente di carattere mercenario. I sentimenti e le buone intenzioni non bastano a cancellare la macchia di una professione disonorante, seppure accolta e sfruttata serenamente da tutti entro la zona franca del piacere.
Attorno ai tre protagonisti si muove una girandola di personaggi che incarnano posizioni e istanze di carattere sociale altrettanto definite e concorrono a dare vita a una Traviata in cui i sentimenti tracollano dinnanzi alle costrizioni sociali e in cui la regia sceglie di adottare un registro caratterizzato da estrema castigatezza di tinte drammatiche.
A connotare ulteriormente questa messa in scena, anche la scelta di posticipare l’ambientazione del dramma dalla metà dell’Ottocento alla Belle Époque, “l’epoca bella”, “i bei tempi” che sembrano essere la cornice ideale per le vicende musicate da Verdi e ambientate in una Parigi che proprio in quegli anni del Novecento fu capitale indiscussa e fucina incessante di tendenze che contagiarono l’intera Europa. 
Chi si aspettasse lacrime, abbracci, struggimenti, commozioni transitorie e “lieto” fine con decesso risolutivo di tutti i problemi in campo (fatti salvi quelle della defunta), potrà forse rimanere deluso dal rigore dei quadri in cui si sottolinea, con l’uso dello spazio, dei gesti e della luce, la solitudine disperata di Violetta che muore, corrosa dal male e da una povertà che si è scelta forse come un sacrificio sull’altare dell’unico amore della sua vita, senza che alcuno le porga il conforto di un contatto autentico, di un sentimento profondo di solidarietà, capace di travalicare anche le barriere imposte dalla società e dalle norme della “creanza”. [Paolo Bosisio regista]

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