2010_11_06 lattOria presenta ANTIGONE al Premio Linutile del Teatro

attOria al Premio Linutile Teatro

Sabato 6 novembre 2010_11_06
ore 21, Teatro Linutile
Via Agordat 5, Padova 
lattOria  presenta
 
ANTIGONE
da Sofocle
 
regia Alessia Gennari
drammaturgia Sara Urban
con Antonio Casella, Martina De Santis, Valter Esposito,
Nicolò Mazzotti, Sara Urban 
disegno luci Marco Grisa 
per prenotazioni: Teatro Linutile, 049 2022907
per info: lattoria@gmail.com http://lattoria.blogspot.com
 
Dal programma di sala:
"I classici servono perché aprono a un possibile futuro, in quanto sono lì a dichiararci, di fatto, che si può cambiare la vita e modificare il mondo", scrive Edoardo Sanguineti. Proprio da un'analoga utopistica convinzione abbiamo iniziato a "vagheggiare" Antigone, a pensare che Antigone fosse, in questo momento, da mettere in scena. Che da portare sulla scena fosse il conflitto fra potere e individuo, fra legge dello Stato e legge morale, fra giustizia e ingiustizia, corruzione e innocenza. Il conflitto che unisce Antigone a Creonte. La centralità del tema del potere nella tragedia sofoclea è stato il motore primo del progetto, tema tragico per eccellenza e, contemporaneamente, così "banalmente" a noi vicino.
Ma Antigone è anche la tragedia della guerra, dell'inizio di una forse impossibile ricostruzione, è la tragedia della disperazione e della pietà. E immediata, e inevitabile, quasi necessariamente sorta dalle nostre vite (per viaggi, incontri: casualità), è stata l'analogia con la guerra nell'ex-Jugoslavia, per noi che quella guerra la ricordiamo dalle immagini vaghe della televisione, dal falso allarmismo o dall'ipocrita indifferenza per una "guerra vicina", poco oltre il confine, una guerra fratricida come quella che a Tebe conduce alla morte reciproca i due fratelli di Antigone. E a Tebe come a Sarajevo un lungo assedio, che riduce la città in macerie, che conduce uomini e donne alla follia, che li assale con differenti forme di follia, che è sempre pronta a colpire l'uomo, che muta il sistema di valori e la percezione della vita e della morte, il tragico senso sacro della morte e della vita: "Io non so cos'è la guerra" scrive Slavenka Drakulic, scrittrice jugoslava "però vedo che è dappertutto. E' in una strada di Sarajevo inondata dal sangue di venti persone uccise mentre erano in coda per il pane. Ma è anche nel tuo non capirla, nella mia crudeltà inconscia, nel modo in cui la guerra attecchisce dentro di noi, cambiando le nostre emozioni, i nostri rapporti, i nostri valori. Noi siamo la guerra, noi portiamo nell'intimo la possibilità di questa malattia mortale che ci sta riducendo a ciò che non avremmo mai creduto possibile. Temo che non ci sia nessun altro a cui dare la colpa. Noi rendiamo possibile la guerra, noi la permettiamo. La nostra difesa è debole, è la nostra coscienza. Non esiste un loro e un noi, non esistono numeri, masse, categorie. Non esistono fatti e verità tutte in bianco e nero. Esiste soltanto un noi - sì - noi siamo responsabili l'uno dell'altro".
E così Antigone diviene l'emblema di una resistenza alle lusinghe della guerra, all'arrendevolezza dinnanzi all'ingiustizia, alla rassegnazione che l'uomo è per natura "terribile a se stesso".
Mito e contemporaneità si incontrano nell'impianto del testo che, a partire da Sofocle, è stato riadattato, considerando innanzitutto quale ulteriore materiale la versione/traduzione brechtiana di Antigone, un'Antigone politica e novecentesca, ma utilizzando anche numerose altre suggestioni letterarie (da Shakespeare a Eliot) da cui abbiamo saccheggiato immagini e parole. Abbiamo scelto poi di inserire ed esplicitare il riferimento al mondo balcanico sostituendo ai cori sofoclei versi del poeta bosniaco Izet Sarajlic (1930-2002): il coro quale momento in cui, secondo la tradizione, la stessa comunità civile si manifesta e rivela e rivede se stessa. E così ecco che quella Sarajevo dell'assedio diviene il luogo della tragedia, o forse soltanto l'ombra, il riflesso, della città assediata, di una contemporanea e rinnovata "Tebe dalle sette porte", in cui a consumarsi, dopo secoli, sono ancora gli stessi orrori, gli stessi drammi, in cui c'è sempre bisogno di un'Antigone quale monito, ma anche esortazione al cambiamento, perché "i classici sono lì a dichiararci che si può cambiare la vita e modificare il mondo".  [Sara Urban]
 
Note di regia:
 
Tra i resoconti sparsi nelle molte letture sull'assedio di Sarajevo, quello che più si cristallizzò nella mia mente alcuni mesi fa, fu quello relativo alla sepoltura dei molti cadaveri che invadevano le strade della città. I morti restavano insepolti fino al tramonto, quando un parente, un amico, un amato correvano a recuperarli per seppellirli, protetti dall'oscurità ma pur sempre bersagli degli implacabili cecchini che certo la notte non faceva riposare. Rischiare la vita per seppellire un morto: un atto coraggioso quanto ardito, vagamente insano, folle. Un atto che siglava la superiorità, dinnanzi a tutto, della pietà, che diceva della necessità di lottare nel proprio privato perché l'ultimo barlume di umanità non andasse anch'esso perduto insieme a tutto il resto.
A questa immagine emblematica è corsa la mia mente quando si è trattato di dare alla nostra Antigone una patria, un tempo, che non fossero quelli eterni del mito. Un'immagine che mi ha convinto che quella che stavamo per intraprendere era la strada giusta.
Perché la nostra Antigone non vuole parlare di uomini grandi che hanno attraversato le epoche diventando manifesti di un idea, almeno non soltanto. Vuole parlare dell'uomo, nella sua infinitamente piccola dimensione quotidiana. Vuole sporcarsi con l'uomo, uscire dal mito e scendere a terra, tra le macerie di una guerra a noi vicina, tra i resti di vite umane spezzate, tra gli scarti di una civiltà che, dai greci a oggi, sembra essere giunta al punto più basso della sua parabola discendente.
Sporcare Antigone è sporcare il suo linguaggio; sporcare l'aura che protegge gli eroi del mito per umanizzarli e avvicinarli alla terra; sporcare la scena, che diventa un cimitero di detriti post-bellici, in cui tutto è utilizzabile e tutto è significante; sporcare, o meglio contaminare, il racconto del mito con inserti di una poesia che stenta a farsi epica e non vuole rimanere privata. Sporcare Antigone è "manipolare" il mito convinti che l'universalità della tragedia possa essere declinata in mondi che non gli appartengono ma che ad essa in maniera evidente si ricollegano.
Per richiamare tutti alla responsabilità: gli attori, il pubblico, il cittadino, richiamarli alla presa di coscienza dell'importanza di ogni singola scelta, di ogni singolo gesto che ciascuno di noi compie nella propria esistenza, affinché nessuno lasci dietro di sé un deserto, piegato dall'insostenibile peso di uno, due, tre, mille cappotti. [Alessia Gennari]

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