2009 07 18 Festival Puccini Turandot

FESTIVAL PUCCINI 2009
Torre del Lago, sede del Festival Puccini, è situata tra il Lago di Massaciuccoli e il Mar Tirreno, a 4 km dalle spiagge di Viareggio, sul litorale toscano, a 18 km da Lucca e altrettanti da Pisa. Ogni anno il Festival ospita 40.000 spettatori nel suo Teatro all'Aperto, a pochi passi dalla Villa Mausoleo dove il Maestro Giacomo Puccini visse e lavorò e dove adesso, in una piccola sala trasformata in cappella, sono custodite le sue spoglie.
 
Fondazione Festival Pucciniano
Viale Giacomo Puccini, 273
55048 Torre del Lago Puccini (LU)
tel. (+39) 0584 350567
fax (+39) 0584 341657
e-mail: affarigenerali@puccinifestival.it
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Orario di inizio: 21.15
 
TURANDOT di Giacomo Puccini
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri
Libretto: Giuseppe Adami e Renato Simoni da Carlo Gozzi
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 25 aprile 1926
 
Date:
Sabato 18- Sabato 25 - Venerdì 31 luglio 2009
Venerdì 7 - Sabato 22 agosto 2009
 
Cast:   
Principessa Turandot:
-Elena Popovskaya (18, 25, 31 Luglio);
-Giovanna Casolla (7, 22 Agosto)
 
Calaf :
-Francesco Hong (18, 31 Luglio) ;
-Sung Kyu Park (7, 22 Agosto)
 
Liù :
-Donata D'Annunzio Lombardi (18, 25 Luglio);
-Mimma Briganti (31, 7, 22 Agosto)
 
Timur: Alfredo Zanazzo
Ping: Leo An
Pong:Leonardo Caimi
Pang: Mauro Buffoli
Altoum:Orfeo Zanetti
Un mandarino: Dario Benini
Regia: Maurizio Scaparro
Scene: Ezio Frigerio
Costumi: Franca Squarciapino
Assistente regista: Susanna Attendoli
Direttore:   
Valerio Galli (18, 25, 31 Luglio)
Mauro Roveri (7, 22 Agosto)
Orchestra e Coro del Festival Puccini Stefano Visconti
Coro Voci Bianche del Festival Puccini Maestro del Coro Susanna Altemura
 
 
 
L'ultimo duetto ed il finale dell'opera sono stati completati, basandosi sugli appunti lasciati, da Franco Alfano dopo la morte di Puccini.
 
Trama:   
È il tempo delle favole. A Pechino la Principessa Turandot ha fatto il sacro voto di sposare solo il pretendente che saprà sciogliere i tre enigmi da lei proposti; chi sbaglia pagherà con la vita. La sua crudeltà deriva della tragica fine di una sua antenata, violentata e uccisa da un re barbaro.
 
Per vendicarla, Turandot ha giurato che non apparterrà mai a nessuno.Tra la folla accorsa per vedere la decapitazione del Principe di Persia un vecchio cieco, accompagnato dalla schiava Liù, viene travolto. Lo soccorre Calaf, principe in esilio dato per morto, che riconosce in lui il proprio padre, Timur. Alla vista di Turandot, Calaf se ne innamora perdutamente e decide di tentare la prova.
 
Timur, Liù e i tre ministri dell'Imperatore, Ping, Pong e Pang, tentano invano di dissuaderlo: Calaf è irremovibile e accetta la sfida. Turandot gli propone i tre enigmi ed egli li svela. Disperata, la Principessa supplica il padre di non darla allo straniero. Calaf propone quindi a sua volta un enigma: se Turandot riuscirà a scoprire il suo nome prima dell'alba, lui morirà; altrimenti dovrà accettarlo come sposo. Vengono rintracciati e imprigionati Timur e Liù, che sono stati visti parlare con Calaf. Turandot stessa li interroga, ma Liù, che è innamorata di Calaf, pur di non rivelarne il nome si uccide.
 
Il sacrificio della giovane schiava turba Turandot, nel cui cuore si è insinuato un sentimento d'amore per lo straniero. Così, quando Calaf le rivela il suo nome, Turandot annuncia al padre che lo straniero si chiama "Amore", tra il giubilo della folla.

1 commento:

  1. Il Mistero della tensione eroica verso la Verità
    Le difficoltà di interpretazione di Turandot sono legate alla partitura dell’opera e alla necessità di trasformare una fiaba in un dramma credibile dell’esistenza: la ricerca della Verità; trasformare una fiaba nella tragedia dell’uomo che lascia il suo mondo teso alla Verità, “divina bellezza, sogno, meraviglia”. Chi “di sangue regio”, nobile di spirito, intende possedere Turandot, deve sciogliere degli enigmi. E’ la legge del destino che premia con il possesso della Verità chi non teme di affrontarla. Da tale destino il popolo cerca distogliere il Principe: “Pazzo, la porta è questa della gran beccheria”. Si esprime così la coscienza del fallimento vissuto dai poveri di spirito. Per contrasto uno Straniero di fronte al dolore del genitore che lo interroga : “Figlio, “Vuoi morire così?” risponde : “Questa è la vita, padre!”. Uno Straniero che rinuncia all’amore di Liù, e che al suo richiamo: “Signore, ascolta” risponde: “Nessuno più io ascolto, io vedo il suo fulgido volto! La vedo. Mi chiama!” La Verità. Non è la Morte a scoraggiare il Principe, ma è la Vita dal fulgido volto, ad attrarlo. La Vita, Verità dell’Essere simboleggiata da Turandot. Nel primo atto c’è la totalità della Turandot. Come parabola evangelica, la cornice fiabesca ha significati altissimi e quasi religiosi. Turandot fiaba, parabola, che racconta il folle volo del Principe verso l’ignoto, come Ulisse di Dante. L’impeto del Principe, l’atmosfera da tragedia, pregna di incognite nella conflittualità di un uomo, si impongono con l’intreccio di melodie e drammaticità del primo atto. E tale conflittuale vicenda si snoda fino alla sequenza finale, nella quale la musica esplode in un avvolgente concertato che dà sostanza musicale agli sgomenti di tutti i personaggi, atterriti e soggiogati dalla follia “furente” del Principe che fedele al suo richiamo dichiara di voler sfidare la sorte, invocando Turandot. Nell’aria di Turandot nel secondo atto c’è la spiegazione della sua apparente crudeltà, rinviata alla memoria dei secoli, legata a un bisogno di riscatto da un peccato originale. Gli enigmi posti sono coerenti: La speranza, “che tutto il mondo invoca”. La Speranza incontro con la Verità. Il sangue: fiamma, come febbre che l’inerzia tramuta in languore. Senza tale febbre, nel languore non v’è vittoria. E infine Turandot stessa, la Verità “candida e oscura”. La Verità che innamora, ma che si allontana se prossima a essere carpita. E il Principe ne è tenuto lontano perché essa è sacra. Alle soglie della Verità egli propone che il suo nome sia pronunciato prima dell’alba. Chi cerca la Verità e si trova respinto, accetta quale ultima sfida che il mistero che racchiude sia svelato, e attende l’alba quale nuova stagione dell’essere. E’ l’ultimo scontro tra la passione dell’uno e la ragione dell’altra. In tale conflitto appare Liù, sola depositaria del mistero del Principe, disposta a morire per non svelarlo. Con le sue esequie sottolineate da uno struggente assolo dell’ottavino, l’incanto dell’opera si conclude. A fronte della potenza innovativa del primo atto le idee melodiche cessano. Il finale di Alfano è banale. La morte di Liù è l'epilogo della produzione pucciniana e il capitolo finale del melodramma dominato dall'inscindibile connubio musica e libretto di cui il Maestro fu geniale esponente. Di tanta bellezza non v’è traccia. La regia di Scaparro si riscatta poco nella luce accecante con cui fa entrare Turandot, la Verità che non si lascia guardare per la intensità della luce irradiata. Muta la orchestrazione di Galli. Poco convincente la prestazione del coreano Hong, il Principe, con voce affaticata fino a emissioni più grida che note acute. Identica la Popovskaya, Turandot, assai giovane per un ruolo tremendo. Dal naufragio si eleva la voce di D’Annunzio Lombardi, Liù, il cui canto e la cui gestualità rendono la fragilità e lo struggente coraggio della fanciulla. In linea con la sventurata vecchiezza il Timur di Zanazzo. Dunque scialba interpretazione del capolavoro pucciniano.
    fm.mirabile@virgilio.it

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